Alessio Di Basco

Nato a Vecchiano (PI) il 18 novembre del 1964. Alto 1,75 per 67 chili. Velocista. Professionista dal 1987 al 1997 con 12 vittorie
Fin da bambino, lui stesso si racconta, come di un ribelle o uno scavezzacollo, nel gergo più comune in Toscana. Peculiarità che si sono trasferite nel ciclismo e che lo han fatto uno dei corridori più amanti della vita e, per tanti aspetti, l'inverso di ciò che si vorrebbe da un atleta di una disciplina dura come il ciclismo.
Si determinò velocista, pur avendo un fisico facilmente adattabile anche ad altre variabili del pedale. Ma aspettare la volata, significava per lui spendere nel decisivo colpo finale, ciò che prima aveva limato o risparmiato, o semplicemente era l'adattamento meno pesante, per quello che possedeva e, magari, scialacquava oltre i limiti. Fatto sta, che giunto al professionismo nell'autunno del 1987, già dalla vera stagione d'esordio, seppe divenire popolare. Non già per ripetute vittorie, ma per una, clamorosa, sulla quale poté costruire nella maniera ideale il suo essere personaggio. Tutto nacque, dopo essersi comunque messo in luce col terzo posto al Trofeo Laigueglia ed una piazza d'onore in una frazione del "Trentino", nella nona tappa del Giro d'Italia, la Pienza-Marina di Massa, quando, con un imperioso guizzo, superò due mostri sacri dello sprint, quali Guidone Bontempi e lo svizzero Urs Freuler. I piazzamenti d'onore, dietro Rosola a Jesola e Freuler a Vittorio Veneto, suggellarono quel Giro d'esordio di Alessio Di Basco. Manna davvero, per uno come lui. Poi, dopo quel 1988 di fama, nel quale vinse anche il Circuito di Firenze, alternò qualche raro momento di luce atletica, su una linea mediana da operatore di carovana, con la definizione di atleta. In altre parole, fece fruttare tutto il possibile, per rimanere se stesso, ovvero scavezzacollo denso di furbizia ed amante della vita. Vinse ad anni alterni: nel '90 una tappa della Settimana Bergamasca. Nel '92, una frazione del Giro di Svizzera e, nel '94, una tappa della Vuelta di Spagna. Poi, nel '95, pensò fosse necessario ricaricare le batterie della credibilità e si lanciò in un'annata di successi e di condotte, che testimoniavano quel talento atletico che aveva destinato a fruttare altrove. Vinse due tappe e la classifica a punti del Giro del Portogallo, i GP di Monaco e quello di Goppingen in Germania, una tappa del West Virginia Classic negli Stati Uniti. In Italia s'aggiudicò il Circuito di Cennaia e colse significative piazze d'onore nella Coppa Bernocchi e nella Coppa Sabatini (piazzamenti che si unirono al 2° posto conquistato negli States, nella classifica finale del Coca Cola Trophy), nonché il terzo posto nel Giro d'Emilia.
Dopo una simile annata, serviva riposare e, nei tre anni di ciclismo prima dell'abbandono dell'attività, non vinse più. Finita la carriera, fece fruttare il suo fiuto per gli affari e la furbizia, investendo bene i guadagni nell'edilizia, divenendo figura riferimento per l'immagine di una ditta farmaceutica, ed aprendo una scuderia di cavalli da trotto, che gli hanno concesso vittorie a ripetizione, con conseguenti entrate. Insomma, quel trottatore che non è voluto diventare sulla bicicletta.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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