Buffaz e quella fuga interrotta

La Gazzetta dello Sport

BERGAMO, 27 maggio 2007 - Provate a mettervi al suo posto. Due francesi che scattano, lui dietro, totale tre francesi. Traguardo volante. Due francesi che si rialzano, quei due, lui no, totale un uomo solo comando e il suo nome è Mickael Buffaz. Buffaz insiste. Guadagna fino a 8' di vantaggio e lì succede che il suo direttore sportivo gli dica "dai, Mickael, lascia perdere, dietro non vogliono fughe". Allora Mickael scende dalla bici, fa la pipì, si siede su un paracarro, poi entra nella macchina di un giudice di gara e lì scoppia a piangere, poi si ribella, risale sulla bici, ci dà dentro fino a riguadagnare minuti, 7' per l'esattezza, più stima e speranza. Il destino sarà favorevole a qualcun altro: Buffaz viene raggiunto, superato, dimenticato, e la sua fuga finisce così.
La sua storia, invece, è cominciata nel 1992, quando Mickael aveva 13 anni e come regalo ricevette una Peugeot gialla e verde, da corsa. Prima gara due anni dopo: terzo. Bici d'estate, sci d'inverno. Normale lì, alla frontiera tra Francia e Svizzera. Più bravo nello sci: selezionato anche nella squadra nazionale giovanile francese. "Sognavo di diventare come Alberto Tomba: vincente e spavaldo". Poi un problema alla schiena: addio sci, ecco la bici. "Sognavo di diventare come Bernard Hinault: vincente e duro". Intanto, però, studiava. Da ingegnere biologico. E come se non bastasse, da allenatore di sport. Il giorno in cui ha dovuto scegliere fra ingegnere e allenatore, Buffaz si è messo una mano sulla coscienza, perché l'altra l'aveva già sul manubrio da corsa. "Studiare e correre, è difficile. Lavorare e correre, impossibile. A meno che non si lavori correndo, o non si corra lavorando". Infatti. Quinto anno da professionista, due vittorie nell'anno dell'esordio: tappa e classifica in un breve giro in Bretagna. "Mi giudico un corridore completo: me la cavo allo sprint, e me la cavo sulle salite, purché siano corte".
Questo Giro è il suo primo grande giro, e quella fuga era la sua prima grande fuga. Avete provato a mettervi al suo posto? Il posto del corridore, dice lui, è privilegiato. "Ci vuole, primo, coraggio; secondo, rigore negli allenamenti e rigore nel comportamento morale; terzo, saper conciliare la vita personale con quella professionale; quarto, umiltà; e quinto, piacere. Non necessariamente in questo ordine. A quel punto ci sono tanti privilegi. Il privilegio di girare il mondo. Sono stato in Cina, al Giro del lago Qinghai, grandi paesaggi, ma gente troppo appiccicosa. Adesso il Giro d'Italia: tanta gente, e montagne più dure di quelle francesi. Abbiamo fatto l'Izoard, era la mia prima volta, e se devo essere sincero ero così stanco che neanche l'ho visto. Il mio sogno è correre il Tour: quest'anno no, il prossimo magari". A un giovane Buffaz racconterebbe che "il ciclismo è sport di coraggio, volontà e sacrificio", che "nel ciclismo non si ottiene tutto subito", che "quando soffro, penso alla mia famiglia", che "la mia famiglia è mia moglie Stephanie e nostro figlio Maxim, due anni", che "finita la tappa, la prima cosa che faccio è telefonare a casa per dire che è andato tutto bene, cioè sono sano e salvo", che "credo di essere un buon padre, ma a stare tanto tempo lontano provo un senso di colpa, però non avevo scelta: ora o mai più", che "da professionista, mi piacerebbe diventare un modello per i più giovani, ma forse ci vorrebbe qualche vittoria importante". E non lo dice, ma lo pensa, e noi ci giureremmo, la prossima fuga tirerà diritto.

dal nostro inviato Marco Pastonesi
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