Dario Pieri, il peso delle azioni

di Sara Bordoni

Quando, nel 2003, arrivò secondo alla Parigi-Roubaix si gettò in lacrime tra le braccia di Franco Ballerini ripetendo incredulo «Ma perché? Perché?». È la stessa domanda che ora, per l'ennesima volta, viene posta proprio a lui, Dario Pieri, un ragazzo che sembrava nato per stroncare il pavé e che invece ha un'insopprimibile vocazione masochistica a stroncarsi la carriera. Il più evidente problema del fiorentino è il peso: al primo raduno stagionale della Lampre Caffita si è presentato con 18 chili in più del dovuto. Fosse stata la prima volta, forse sarebbe bastata una ramanzina solenne, ma purtroppo ricordiamo ancora un 2002 in cui Pieri terminò a fatica una manciata di corse e la sua squadra di allora, la Alessio guidata da Cenghialta, non fu tenera con lui. Stessa questione, mancanza di autodisciplina.
«Dicono che io mi perda tra discoteche e donne, ma non è affatto vero - si difende Pieri -. Il vizio che ho è mangiare, lo ammetto. Pasta e carne, niente di strano. D'inverno proprio non riesco a resistere».
D'accordo, un piatto in più nella stagione fredda ci potrebbe anche stare, ma se fosse accompagnato comunque da un regolare e graduale esercizio fisico. Sparare con il fucile non fa dimagrire, purtroppo; Pieri ha il pallino della caccia - tradizione familiare - e questo spesso lo porta a tradire la bicicletta. "Tradire", non è un termine scelto a caso: quando Dario parla della propria professione la paragona alle dinamiche di un rapporto di coppia.
«Faccio il corridore, ma non mi sono mai innamorato di questo mestiere - confessa -. Mi ha regalato tanto, mi ha permesso di conoscere il mondo, di imparare un po' di francese... Di certo ho ricevuto dal ciclismo più di quanto io abbia dato. È come quando, tra due persone, una ama più dell'altra e prima o poi si stanca e se ne va; l'altro, a quel punto, si accorge di ciò che ha perso e si innamora quando forse non è più possibile recuperare la situazione».
Passato professionista con Reverberi nel 1997, l'anno successivo Pieri mostrò già un talento naturale sui tracciati nordici e un'eleganza sul pavé che pochissimi altri possono vantare.
«Avevo fatto la Vuelta, a novembre del '97 rimontai in bicicletta e arrivai all'inizio della stagione successiva che ero un'acciuga. A La Panne diedi spettacolo, feci vedere le mie potenzialità e la mia sete di vittoria. Sono sempre stato un vincente, nel tennis, nel calcio, volevo dimostrare di esserlo anche in bicicletta».
Ma qualcosa si spezzò, il rendimento di Dario divenne discontinuo.
«Nel 2000 Claudio Corti mi chiamò alla Saeco. Arrivai secondo al Giro delle Fiandre alle spalle di Tchmil, nonostante pesassi come adesso, sui 92 chili per 1,84 di altezza. Ero secondo nella classifica di Coppa del Mondo. Avrei dovuto sentirmi motivato a fare chissà che, ma ho un'indole che reagisce male e vissi l'essere secondo come una delusione, così mi lasciai andare».
E allora proviamo a cercare una spiegazione scavando nella storia familiare che Dario racconta docile con una sincerità disarmante.
«Per me mio padre, un omone possente, era un eroe, come per tutti i bambini. Cominciai a correre in bicicletta a dieci anni perché anche lui correva, era arrivato a gareggiare tra i dilettanti. Quando avevo 15 anni fece le valigie e se ne andò di casa. Qualche telefonata ogni tanto, niente di più. Non ho mai avuto la soddisfazione di un complimento sentito direttamente dalle sue labbra, nemmeno quando i giornali cominciarono a scrivere di me, che ero una promessa del ciclismo italiano, che contavano su di me per le Classiche del Nord. Ho un carattere gioviale, mi piace trasmettere positività a chiunque mi stia vicino, ma non posso negare di aver sofferto l'abbandono».
La mancanza del confronto con una figura autoritaria nell'età adolescenziale può rispecchiarsi nella sorta di anarchia di Dario verso le regole di una canonica vita da atleta. Il suo stesso accumulo volontario (più o meno cosciente che sia) di chili può essere interpretato come un messaggio non verbale: sono un peso, per me stesso, per la squadra. La solarità spesso cela depressioni profonde, insegnano gli specialisti. Altrettanto spesso il bisogno di approvazione porta a cercare fin troppe giustificazioni, come accadde lo scorso anno: «Ho una posizione un po' storta in bicicletta, che mi ha sempre provocato qualche problema di irritazione dovuta allo sfregamento irregolare contro la cucitura dei pantaloncini - spiega Pieri -. Lo scorso anno, a La Panne, mi diagnosticarono una foruncolosi perineale in ascesso, sfogata all'interno. Feci la Roubaix comunque e il mio problema si aggravò, poteva finire in peritonite; due giorni dopo la corsa, che ovviamente andò male, dovetti essere operato».
Peccato che sfuggì una frase del tipo «per quella gara ho rischiato la morte», iperbole troppo ghiotta per non essere riportata dai giornali e troppo enfatizzata per non scatenare la reazione della Saeco, che emise un comunicato in cui si leggeva «...l'atteggiamento assunto da Dario Pieri è da considerarsi assolutamente strumentale. Amplificare la portata dell'intervento subìto, fino addirittura a parlare di pericolo di vita, denota da parte dell'atleta l'intenzione di mascherare la vera natura del problema... ovvero l'incapacità di condurre uno stile di vita da vero professionista. L'assenza di una condizione di forma adeguata, d'altronde, lo ha indotto già altre volte ad accampare scuse improbabili, come alla Gand-Wevelgem, dove si è ritirato dopo 100 chilometri lamentando un problema tecnico alla bici, poi risultato del tutto inesistente».
Questo costò a Dario anche la nomea di essere uno che racconta storie; forse la bugia più grande sono proprio quei chili di troppo, che nascondono la verità di una classe cristallina. Peccato, visto che quest'anno scadrà il contratto con la Lampre e che non è affatto detto che le braghe di tela in cui Pieri potrebbe trovarsi nel 2006 siano più comode dei pantaloncini da ciclista. Pieri ha una valanga di talenti, una gentilezza d'animo incredibile e una generosità davvero fuori dal comune; deve però assolutamente trovare rimedio alla propria fragilità psicologica.
«Ho avuto una scossa forte a Terracina, al raduno - dice il fiorentino -. I miei compagni mi guardavano e ridevano. Io finalmente mi sono guardato allo specchio mettendomi in discussione: mi sto imponendo anzitutto di ricominciare ad assomigliare a un corridore, ho iniziato una dieta giusta e mi alleno anche sei ore al giorno. Il mio obiettivo è tornare competitivo per il Tour de France. So che in questo momento non sono credibile, occorreranno dei gran fatti per recuperare la fiducia che mi sono giocato con il mio comportamento in passato».
Speriamo. Mal che vada, come ha osato scherzare Ballerini (che a Pieri vuole bene come a un fratello), potremmo ritrovare Dario in maglia azzurra alle Olimpiadi di Pechino 2008 non nella squadra ciclistica, ma in corsa per un oro nel tiro al piattello, specialità in cui pare essere davvero imbattibile.
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