29 ottobre 2006 - Verdonck, elettricista a pedali (articolo de La Gazzetta dello Sport)

di Marco Pastonesi

Il belga, che aveva smesso di correre ed è tornato per un'ultima gara, vince la 5ª tappa del Giro del Burkina Faso. Cronache dalla carovana di una corsa speciale.

ZINIARE' (Burkina Faso), 29 ottobre 2006 - Partenza da Yako con Kayo. Anagrammi. Yako sta fra Ouahigouya e Ouagadougou, e faceva parte dell'impero millenario dei Mossi, il maggiore gruppo etnico del Paese: terra color ruggine, chioschi di banane e noccioline, bambini dappertutto. Kayo è una giapponese, di cognome fa Yatsu, ha 43 anni ma ne dimostra 25, forse 26, è buddista, e segue la squadra: dice che le piace il ciclismo, anche il calcio, la cucina (nell'ordine: giapponese, italiana, il suo forte sono i capellini al pomodoro, e asiatica) e la fotografia. Salta fuori dalla macchina, sale sul tetto, si sporge dal finestrino: agile. Di poche parole, di molti sorrisi. Lionel Syne fora, Michael Barboza attacca. Le ammiraglie sono tutte Mercedes. Perché sono solide, spiega Louis Doucet. Sarà. Però l'unica che ha tachimetro e contachilometri a posto è quella dello Zimbabwe, guidata da Roger De Vlaeminck, e a lui Doucet deve rivolgersi per compilare, almeno con un ragionevole approssimazione, la cronaca della corsa.
Quello di stoppare il contachilometri dev'essere un modo, il modo, per non denunciare l'infinito viavai. La Mercedes-ammiraglia dell'Angola ha un elefantino rosa attaccato allo specchietto interno retrovisore, quella del Burkina Faso un "arbre magique" a stelle e strisce statunitensi, quella del Camerun un deodorante che in Italia si usa nei gabinetti, quelle della Bretagna e della Costa d'Avorio una collanina di artigianato locale. La Mercedes-ammiraglia del Marocco ha due bici ficcate nel baule, e il baule è socchiuso da un tirante, quella dell'Egitto ha solo una bici più altro materiale da carovanieri. L'autista dell'Egitto succhia un cottonfioc, ne succhiava uno anche ieri, chissà se è lo stesso. Perché qui non si butta via nulla: tutto può servire, anzi, tutto serve. I bambini s'impossessano delle bottiglie di plastica vuote e dei sacchetti di plastica usati: una borraccia è un trofeo da celebrare in eterno.
Barboza riattacca e se ne porta via 26, fra cui il camurenese Martinien Tega, quintoin classifica, il burkinabè Abdul Wahab Sawadogo e il francese Herman Conan, detto Conan il bretone. Sulla strada c'è un popolo in movimento: famiglie su motorini, tribù su camion, villaggi su pullman, bici comprese, sospese e appese. Un uomo porta, sulla bici, una quarantina di bidoni da benzina. Un altro è sommerso da fascine di legna. Un altro ancora trasloca. Un altro infine riesce a tenersi in equilibrio nonostante o magari grazie a un centinaio di volatili. Le Mercedes-ammiraglie, nell'assistere i corridori, slalomeggiano smussando spigoli e sfiorando portiere: chi guida qui, ha la patente per Montecarlo e Indianapolis. Syne fora per la seconda volta. Barboza attacca con altri tre, è raggiunto da cinque, a Ouaga hanno 3 minuti di vantaggio a 30 chilometri dall'arrivo, ma gli ultimi 11 sono di pista. Ci sono anche Jérémie e il giapponese Kentaro Eshita, con gli occhiali da vista, miope.
Kayo si sporge dal finestrino, stavolta senza macchina fotografica, e gli urla "ganbaré, ganbaré", lotta, lotta, poi si ricompone, spiega che "è un lottatore", e sorride. Ma qui c'è poco da sorridere, perché il gruppo rinviene forte, curva a sinistra, e tutti in pista. Color rame, con i sassi, con i binari, con 35 gradi. E Syne fora per la terza volta. Attacca l'egiziano Cherif Abdalla e Barboza non ne ha più. Abdalla però è lì, lo si vede anche con tutto quel polverone, ai meno 4 chilometri è raggiunto dal francese Julien Gonnet, che ha la maglia rosa di primo nei traguardi intermedi, e dal belga David Verdonck, secondo ieri, che ha la maglia rosa - in origine sarebbe bianca - per via della polvere rossa. Ai meno 2 Gonnet fora e Verdonck sente la vittoria vicina: "Con un avversario senza ruota e un altro senza gambe - dirà più tardi - decido di aspettare lo sprint". Fa bene: vince lui.
Verdonck è magro come un cavo elettrico. Non è un caso: fa l'elettricista. Racconta: "Ho 28 anni, sono di Ravels, abito a 20 chilometri da Tom Boonen, e qualche volta, ma sono poche, mi capita di incontrarlo in allenamento". Se poi ci si mette che per sette mesi Verdonck è uscito a fare la spesa, in macchina, ma non ad allenarsi, in bici, si capisce come mai i due non si frequentino. "Un anno fa, dopo il Giro del Burkina Faso, avevo deciso di smettere. Corro da quando ho 11 anni, e ho pensato che fosse ora di dedicarsi a cose più serie. Dunque, sette mesi senza bici. Poi viene da me Herman Beysens, il direttore sportivo. Mi fa: 'Dai, un altro Giro del Burkina Faso, l'ultimo'. Mi lascio convincere in fretta, perché questa è la corsa più bella del mondo, la più affascinante, la più incredibile. Mai visto così tanta gente lungo le strade, e tutti che applaudono, che incitano. Roba da pelle d'oca. Neanche al Tour de France".
David, il Tour de France, l'ha visto solo in tv. "Così cinque mesi di allenamento, con un'idea fissa: il Giro del Burkina Faso. Ed ecco questa vittoria. Ho vinto qui anche un anno fa. Ma adesso basta, questa è davvero l'ultima volta. Non posso lasciare a casa Annick, che si occupa di comunicazioni in una grande azienda, e venirmene qui due settimane in vacanza con i miei amici". Syne: "Tre forature oggi, e solo due in tutto il 2005. C'è qualcosa che non va". Che ci sia qualcosa che non va deve averlo pensato anche Barboza: cos'altro avrebbe dovuto inventarsi per ottenere il premio della combattività? Domani giornata di riposo. Doucet, che se ne intende: "Occhio ai camerunesi. Tre nei primi otto in classifica". Ci voleva un occhio anche per Kayo Yatsu: dopo l'arrivo, si è dileguata.
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