Seamus Elliott

Nato a Dublino il 4 giugno 1934, ed è da considerarsi, a tutti gli effetti, l'antesignano del ciclismo in una terra, l'Irlanda, che ai suoi tempi vedeva questo sport come un fatto straordinariamente raro e che poi, dietro il suo esempio, riuscì a portare alla massima notorietà due autentici campioni: Stephen Roche e Sean Kelly.
Seamus Elliott non fu un campione della levatura dei suoi delfini, ma ha lasciato la sua bella traccia nella storia del pedale. Un corridore ardimentoso, coraggioso e tenace, discretamente veloce e con la qualità di sapersi districare come pochi nel difficile ruolo di gregario, a quei tempi assai più complicato rispetto ad oggi. Il fatto che Anquetil, non un capitano qualunque, lo abbia sempre definito come prezioso e difficilmente sostituibile, la dice lunga sulla bravura di Seamus.
Nella storia di questo irlandese bruno, i tratti antropologici della sua terra, salvo la tipica tenacia di quei luoghi, si son sempre visti poco. In lui, invece, traspariva un velo di tristezza ed un portamento a volte premonitore di una costrizione. Il ciclismo, per Elliott, era un mestiere visto e vissuto come uno strumento per vivere il futuro un po' meglio, attraverso una base che gli poteva servire per fare poi altro. Era quel mestiere che gli era venuto dalle gambe forti e dalla voglia di mettersi alla prova, senza perdere del tempo inutile, e da vivere con pragmatismo. Ma quel velo di tristezza, forse, significava quel qualcosa in più che le strade, le ruote, l'ambiente, non han saputo leggere e che la sua tristissima fine, nei modi e nella violenza in cui è avvenuta, eleva come un dubbio che mai sarà risolto.
All'indomani della sua vittoria nel campionato irlandese dei dilettanti, colta a soli 19 anni, Seamus, capì che per fare il corridore doveva emigrare e si trasferì in Francia. Nel 1956 passò professionista, divenendo ben presto un luogotenente di Jacques Anquetil. Per le sue buone doti sul passo e l'ottimo spunto veloce, seppe collezionare una bella serie di successi, soprattutto nei primi anni sessanta. Di nota le vittorie nel Gran Premio Sigrand ('58), G.P. Nizza ('59), G.P. Peugeot ('60), GP Ockers ('60), G.P. St Raphael ('61), G.P. Danainx ('63), nel Giro di Morbihan '64, nel Tour de l'Oise '65 e nella tappa di Roubaix, al Tour de France del '63. In Belgio vinse l'Het Volk ('59), in Algeria il G.P. di Algeri ('56), in Gran Bretagna vinse il G.P. dell'Isola di Man, due volte: nel '59 e '64. In Spagna, giunse terzo nella classifica finale della Vuelta del 1962, in cui vinse una tappa, ed un'altra tappa la vinse nel '63. In Italia, si segnalò diverse volte e trionfò nella frazione Trieste-Belluno del Giro '60.
Nel 1962, ai Mondiali di Salò, mentre si trovava in fuga solitaria, fu beffato in contropiede dall'amico francese, ed ex minatore, Jean Stablinski, giungendo così secondo. Sull'episodio han girato a lungo delle voci: c'è chi parlò di accordo tacito fra i due e chi, invece, sosteneva che l'irlandese fosse stato giocato dall'amico. I due han sempre dato delle versioni poco convincenti, ma è pur vero che il più forte in corsa, quel giorno, fu proprio il francese. Insomma un ruolino di tutto rispetto, per un atleta che, in vita, ha fatto tanti sacrifici per riuscire ad emergere nello sport che più amava e verso il quale era più tagliato.
Lasciò l'attività agonistica, di fatto, nel 1966, dopo aver colto, anche nell'ultima stagione, altri cinque traguardi minori. Staccò la licenza ancora per qualche anno, ma le sue apparizioni non furono più quelle di un professionista. In terra britannica, per l'originalità che ha sempre accompagnato il ciclismo, era possibile. Il 4 maggio 1971, dopo aver aperto un'officina, fu ritrovato morto nel garage di casa, ucciso da un colpo di arma da fuoco. Non si trattò di un delitto, ma di una sua scelta.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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