Pavel Tonkov, una vita per il Giro

Rivista Tuttobici Numero: 12 Anno: 2005

Tonkov, una vita per il Giro

di Roberto Sardelli

Pavel Tonkov ha detto basta. Con molta discrezione, senza tanto clamore, il corridore russo del Team LPR ha deciso di mettere la parola fine alla sua carriera.
Inizio anni '90. Indurain e Bugno, Rominger e Chiappucci, Mottet e Jalabert. Questi i nomi che stanno dominando le scene ciclistiche. Un po' timido, molto riservato, cerca di trovare il suo spazio, anche un giovane corridore russo. La leggenda vuole che il suo paese di nascita, Ichevsk, non sia segnato nemmeno sulle cartine geografiche. Segreto militare. In quella località si fabbricano armi terribili, rese famose dalle cronache di sangue: i kalashnikov.
Il suo volto è quello di un ragazzo pulito, la sua pedalata mostra una classe inconfondibile. Ernesto Colnago si era già accorto di lui ed insieme a Saronni decise, nel 1992, di farlo passare professionista con la maglia della Lampre.
«Colnago sponsorizzava la nazionale sovietica e poi, dopo il 1989, quella russa. Anche quando nel 1987 mi aggiudicai il Campionato del Mondo juniores a Bergamo, correvo su bici Colnago. Soltanto nel 1989, nella mia breve parentesi francese, avevo una bici diversa. Poi, tornato in Italia, eccomi ancora in sella ad una Colnago, per debuttare con i professionisti, al fianco di questo marchio prestigioso».
Al debutto, viste le referenze e le credenziali, non si può che parlar bene di questo giovane campione. La sua aria di ragazzo timido e riservato cambia totalmente quando si tratta di affrontare le difficili asperità del Giro d'Italia. Siamo nel 1992, Indurain vincerà la sua prima corsa rosa, battendo nell'ordine Chiappucci e Chioccioli. Gli addetti ai lavori però, si accorgono subito di questo atleta coriaceo che riesce a tener bene sulle salite senza troppi timori reverenziali.
«In quel mio primo Giro mi piazzai al settimo posto. Saronni e Colnago furono molto contenti del mio comportamento. L'anno successivo riuscii addirittura a fare meglio, ottenendo un quinto posto e mettendomi in mostra nella tappa più difficile, quella con arrivo a Corvara. Vinse Chiappucci, io riuscii a tenere le ruote dei primi arrivando insieme al vincitore, nel gruppetto della maglia rosa Indurain».
Una carriera lunghissima, quattordici anni di professionismo con il Giro d'Italia come obiettivo principale. In quegli anni, il nome di Tonkov resterà sempre molto legato alla corsa rosa.
«Correndo per una squadra italiana era ovvio che questa competizione rappresentasse la massima potenzialità da un punto di vista pubblicitario. Le mie caratteristiche di passista scalatore imponevano scelte e programmi indirizzati verso questo obiettivo. Mi sarebbe piaciuto far bene anche alla Liegi, al Mondiale o al Lombardia, ma era sempre nel periodo a cavallo tra maggio e giugno che io dovevo esprimere il meglio di me stesso».
Sono anni, quelli del debutto, in cui Indurain viene in Italia ad imporre la propria legge. Invece di Pavel, sarà però un altro corridore russo che riuscirà a far pagare pegno al navarro: un biondo atleta di Viborg, Eugeny Berzin, di un anno più giovane rispetto a Tonkov.
«Ammiravo corridori come Indurain, Bugno, Chiappucci e lo stesso Chioccioli. Li scrutavo attentamente cercando di carpirne qualche segreto. Poi, al Giro del '94, furono Berzin e Pantani che cercarono di determinare una svolta generazionale. Conoscevo bene Berzin. Era un corridore molto dotato che aveva ottenuto eccellenti performance soprattutto su pista. Quell'anno al Giro d'Italia, aldilà delle belle imprese di Pantani a Merano e sul Mortirolo, dimostrò di essere il più forte».
Dopo l'intermezzo della vittoria di Rominger nel '95, ma poi, sarà ancora un corridore russo che tornerà ad imporsi al Giro d'Italia. E sarà finalmente la volta di Pavel Tonkov.
«La mia è stata una crescita graduale. Quell'anno sentivo di star bene, meglio degli altri anni. A parte un po' di crisi il giorno della Marmolada, quando l'arrivo era posto sul Pordoi, andai sempre molto bene, ottenendo oltre alla vittoria del Giro anche importanti successi di tappa».
Una salita quella della Marmolada, che forse le è rimasta sempre un po' indigesta.
«È una salita molto difficile. A volte puoi essere tentato a provare l'impresa e decidi di attaccare. Se sbagli qualcosa però, rischi di pagare molto caro il tuo errore. In quel caso, il mio distacco fu contenuto in qualche minuto e riuscii a non andare alla deriva. Sul Mortirolo, alla penultima tappa, tornai ad essere il miglior Tonkov e portai via una fuga che comprendeva Gotti e Belli, riuscendo a staccare Zaina ed Olano, sino ad allora i miei avversari più ostici».
Lo stesso Gotti che l'anno successivo vincerà il Giro d'Italia, riuscendo a beffarla. Andò in fuga nella tappa di Cervinia e conquistò la maglia rosa che riuscirà a portare sino all'ultimo giorno, sul traguardo di Milano.
«Nel Giro del 1997 ritenevo Leblanc il mio avversario più pericoloso. Pochi giorni prima della partenza del Giro lo avevo visto andare veramente molto forte sulle strade del Giro del Trentino. Proprio nella tappa di Cervinia, cercavo di controllare soprattutto il francese. Gotti riuscì ad inserirsi in una fuga e a tenere sino all'arrivo. Io ebbi anche molta sfortuna. Caddi e fui costretto a cambiare bici e scarpette».
Passano gli anni, cambiano i protagonisti. Tonkov indossa la casacca della Mapei e alla partenza del Giro del '98 si presenta come uno dei favoriti, un gradino al di sotto di Alex Zulle, ma certamente sullo stesso piano di Gotti e Pantani.
«Zulle era formidabile a cronometro. Vinse subito il prologo di Nizza e riuscì a batterci sul primo arrivo in salita a Lago Laceno. Vincendo poi la cronometro di Trieste ad una settimana dalla conclusione, sembrava che nessuno potesse più togliere la maglia rosa dalle spalle dell'elvetico».
Invece, uno strepitoso Pantani riuscì a far saltare il banco. Era la tappa con la Marmolada e si arrivava a Selva di Val Gardena. Soltanto Guerini riuscì a tenere il ritmo del Pirata. Anche per lei ci fu un sensibile ritardo e Zulle uscì addirittura dai giochi della classifica generale.
«Per quanto mi riguardava, io ero sempre in corsa. All'Alpe di Pampeago ce la feci addirittura a battere Marco e a vincere la tappa. Feci molta fatica quel giorno, ma vedevo che anche Marco si impegnava parecchio per starmi a ruota. I giochi erano sempre aperti. C'era l'arrivo a Monte Campione e la crono finale a Lugano».
Quattordici anni di carriera e ci ritroviamo a parlare sempre di Giro d'Italia. Se è vero che non basterebbe un libro per parlare di Tonkov, è comunque certo che nell'ultima settimana del Giro 1998, se pure da battuto, ha scritto le pagine più belle ed avvincenti della sua vita agonistica. L'onore degli sconfitti. Con la sua tenacia ha contribuito a dare ancora più splendore alle imprese di Pantani in quel Giro d'Italia.
«Monte Campione era una salita difficilissima, molto dura. Pantani aveva il vantaggio di pesare almeno dieci chili meno di me. In salita è una differenza che si fa sentire. Ce la feci comunque a tener duro e non persi tantissimo. All'arrivo, nonostante il leggero cedimento nel finale, ero fiducioso e contavo di rifarmi a Lugano. Nella crono di Trieste il distacco che avevo inflitto a Marco era considerevole e, facendo le debite proporzioni, nell'ultima prova a cronometro avrei potuto recuperare il mio distacco da Marco. Lui era meglio di me in salita, ma io mi sentivo più forte sul passo e a cronometro».
Invece a Lugano le cose andarono un po' diversamente.
«Più di così non potevo fare. Io feci una buona cronometro. In quel Giro sentivo addirittura di avere una condizione superiore a quella di due anni prima, quando vinsi. Pantani però, andò fortissimo. A Lugano fece addirittura meglio di me. Dovetti inchinarmi a lui, ma quel piazzamento non mi ha lasciato rimpianti. Ancora oggi resto convinto di aver dato tutto quello che avevo da dare».
Dopo quel giorno però, non la vedremo più lottare per la maglia rosa. Le sue azioni non passeranno comunque inosservate. Si tratterà sempre di arrivi solitari come a Passo Coe nel 2002 o a Fondo, nel Giro 2004.
«Il Giro d'Italia ha rappresentato il punto più alto della mia carriera. Sulle sue strade ho scritto sicuramente le pagine più belle. Non vorrei però dimenticare nemmeno le due vittorie di tappa che ho ottenuto alla Vuelta. Oggi io vivo in Spagna e devo dire che provai molta soddisfazione a vincere sul leggendario Alto de Angrilu. Riuscii a battere i corridori spagnoli proprio sul loro terreno. Fu un'impresa che mi fece apprezzare molto in terra iberica. Peccato che in quella Vuelta un fastidioso mal di stomaco mi fece perdere molti minuti, mettendomi fuori dai giochi della classifica».
Con la sua esperienza e la sua intelligenza c'è da sperare di non vederla per troppo tempo ai margini del movimento.
«Mi piacerebbe trovare una seria opportunità per insegnare ciclismo ai giovani. Spagna o Italia possono andar bene tutte e due».
Sono passati diciotto anni da quando, sconosciuto e timido, vinse a Bergamo il titolo mondiale juniores: fu l'anteprima di una splendida carriera.
«Quella vittoria a Bergamo è forse quella che, tra tutte, ha un posto speciale nel mio cuore. Quel giorno vidi realizzato il mio primo grande sogno. Dovetti attendere ancora nove anni per vederne realizzato un altro: la vittoria del Giro d'Italia».
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