Alessio Peccolo

Nato a San Vendemiano (TV) il 24 ottobre 1947. Scalatore. Alto 1,63 per 57kg Professionista nel 1973 e '74 senza ottenere vittorie.

Uno dei tanti esempi, presenti nella storia del ciclismo italiano, di un grande dilettante che poi delude fra i professionisti. Peccolo e piccolo, come in una filastrocca, tarchiato e compatto come un gladiatore, volenteroso e duro come l'ottimo stampo "razza Piave", con questi connotati si fece largo fra i puri. Nato per essere scalatore, con una particolare predisposizione verso l'attacco, nemmeno "palo" in volata, Alessio, divenne presto un riferimento di quel pedale che pare da sempre siamese alla terra trevigiana. Spesso spettacolare nelle sue azioni, seppe persino ergersi ad esempio di quella gloriosa maglia rossoblu dell'Unione Ciclistica Vittorio Veneto, colori a me cari e dalla storia rattrappita ed essiccata, da chi dovrebbe sempre stare lontano dal ciclismo. Sì, questo corridore che il 95% di chi segue il ciclismo manco sa chi fosse, mi era simpatico e mi è dispiaciuto vedere la sua ellisse oscurata da un precoce tramonto. Già, perché il ragazzo passò tardi al professionismo, ignorato da troppe squadre e da un osservatorio disattento, e dire che allora, il ciclismo, era molto migliore. Forse su Alessio ha pesato la statura, ma da dilettante era un gran bel corridore davvero. Basti citare un dato, di cui chi ha qualche anno in più, conosce bene i valori: Peccolo, vinse per ben due volte una corsa dura, dai "garun bindiani", come il Giro del Friuli a tappe. La prima volta, nel 1969 e la seconda, nel 1972. Dopo il primo successo, era obbligo di razionalità passare, invece la ferma dei Probabili Olimpici (che disastro per tanti corridori!), lo spinse a restare là, dove si consumava per traguardi che poi, alla luce della storia di questo sport, possiedono valenze molto tenui, vero Flavio Martini? Per il piccolo Peccolo, le porte del professionismo si spalancarono solo per la stagione 1973, ad Olimpiadi passate.
All'epoca pensai che uno come lui, nonostante gli evidenti tratti della super attività da puro, potesse ambire ad una Filotex, una Bianchi o una Scic, invece gli unici che si interessarono veramente al corridore di San Vendemmiano, furono i dirigenti della GBC (che avevano già programmato di sospendere l'attività in Italia con partenza dal '74...) ed al team bianconero, unico neoprof, Alessio passò.
Si trattava di una formazione composta da corridori molti anziani e con diversi pistard, a cui si aggiungevano velocisti su strada al tramonto come Luciano Armani, nonché due elementi di non facile collocazione, quali Claudio Michelotto e Wladimiro Panizza. Il primo già trentunenne, da speranza era sempre rimasto nel limbo, mentre il secondo, ventottenne, dopo sei stagioni fra i prof, non aveva ancora trovato la sua dimensione. A Peccolo, al pari del coetaneo Roberto Sorlini e di "collo lungo" Wilmo Francioni, più giovane di un anno ma con tre buone stagioni nell'elite alle spalle, spettava il non facile compito di dare linfa ad una squadra comunque modesta. L'inserimento di Alessio fu difficile e ben poco prodigo di soddisfazioni. Il terzo posto dietro Basso e Van Springel, in Svizzera, nel GP Kanton Argau-Gippingen, sembrò di buon auspicio per l'imminente Giro d'Italia, ma nella "corsa rosa", fu autore di una corsa incolore, non già per il 29° posto finale, terzo fra i neopro (dietro Riccomi e Conati), ma per non aver mai animato la corsa come era nelle sue caratteristiche da dilettante. Andò addirittura peggio al Giro di Svizzera, dove chiuse, con un cast molto inferiore, al ventiduesimo posto, senza mettersi mai in luce. A fine anno, la GBC chiuse e Peccolo passò alla Filcas, una squadra di dilettanti che era passata in massa fra i prof. La sua stagione 1974 però, fu molto più incolore di quella del debutto (finì il Giro al 60° posto), ed a novembre, a soli 27 anni, appese la bicicletta al chiodo.
Suo figlio Nicola, classe 1982, molto simile al padre come caratteristiche fisiche e tecniche, è stato un ottimo dilettante, ma non è riuscito a strappare un contratto professionistico.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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