Mario Cipollini, la storia di un mito - 2a puntata

Rivista Tuttobici Numero: 7 Anno: 2005

Cipollini story - 2a puntata

di Bibi Ajraghi

Arriva la stagione 1996 e Mario si mette in testa che nella sua personalissima collezione di maglie manca quella tricolore. Vuole assolutamente diventare campione d'Italia e lo diventa, a Monteveglio, grazie anche ad un gran lavoro di contenimento della sua Saeco, che non si fa sfuggire nemmeno una mosca, e alla fine lancia il suo uomo veloce.
Ma quel che più conta è che il più amato dalle italiane è finalmente campione d'Italia. Dopo aver già vestito il verde e il giallo al Tour, il rosa, l'azzurro e il ciclamino al Giro d'Italia, Mario Cipollini, il Re delle volate conquista a Monteveglio, nei pressi di Bologna, il primo titolo italiano della carriera.
«Ad onor del vero una maglia tricolore
la conquistai anche tra i dilettanti, quando ero militare. Proprio dieci anni fa, ero alla compagnia atleti di Bologna e vinsi il tricolore militare a cronometro».
E così, il Re Leone, idolatrato dagli amanti delle due ruote per le sue poderose volate, centra a Monteveglio la quindicesima vittoria stagionale, la novantacinquesima in carriera, ma soprattutto la prima vera vittoria di peso.
«Tutti i miei compagni sono stati fantastici, anche se nella volata finale un po' di paura l'ho avuta. Ho temuto di perdere, perché con la sparata di Baldato, un po' i miei piani sono andati a farsi benedire. Fabio, partendo in quel modo, mi ha costretto ad anticipare e in pratica mi sono trovato a tirare la volata agli altri».
La maglia tricolore vale anche quella azzurra per l'Olimpiade di Atlanta. Il Van Steenbergen d'Italia sogna una maglia bianca coi cinque cerchi olimpici. Lui a questo appuntamento ci pensa da tempo, almeno da un anno.
«A settembre dello scorso anno sono andato a vedere il percorso. Mi ci ha accompagnato Roberto Gaggioli, un amico, uno che là in America ha fatto fortuna. Il tracciato mi si addice e da allora ho cominciato a lavorare per arrivarci al meglio della condizione».
Mario prepara l'appuntamento a puntino, come solo lui sa fare in certe circostanze, ma la corsa a cinque cerchi si rivela troppo incontrollabile (ogni squadra può contare solo su cinque uomini) e viene vinta dallo svizzero Pascal Richard. Per il nostro non c'è gloria.
Cipollini torna alle sue corse e continua a vincere e a convincere: rallenta solo nel 2000, quando la sua stagione non presenta uno score da quindici vittorie almeno, come è ormai sua abitudine, ma si ferma solo a quota nove.
Al Giro conquista solo la tappa di Matera e dopo l'incidente che colpirà papà Vivaldo medita persino di lasciare il ciclismo. D'altra parte non è un mistero: per Mario Cipollini papà Vivaldo è davvero tanto.
«Ora vive senza più vivere e la cosa mi tormenta maledettamente», dice.
Cipollini non c'é con la testa, va alla Vuelta, ma viene rispedito a casa per aver sferrato un pugno in pieno volto allo spagnolo Cerezo.
Il 2001 non va molto meglio. Re Leone perde da Erik Zabel la volata che vale la Sanremo. Mario resta ancora a bocca asciutta, mentre il tedeschino si porta in Germania la quarta Classicissima della carriera.
Re Leone vince quattro tappe al Giro d'Italia, ma qualcosa si è rotto, si percepisce che all'interno della squadra non c'è più l'atmosfera di un tempo.
Mario, dopo un lungo tiramolla, decide di cambiare aria, e lasciare quindi la Saeco di patron Sergio Zappella e del team manager Claudio Corti, per approdare alla Acqua & Sapone- Cantina Tollo con il fedelissimo Mario Scirea e parte del suo staff.
Forse nemmeno lui immagina di pedalare incontro alla stagione più bella: il 2002. Tante vittorie, ma soprattutto vittorie di peso, quelle che vanno ad arricchire una carriera già da antologia.
E a Sanremo realizza il suo capolavoro. Una progressione devastante, un respiro e poi l'accelerata a 70 chilometri orari. Al suo quattordicesimo tentativo, Mario Cipollini vince finalmente la corsa dei sogni: la Classicissima.
Sabato 23 marzo 2002: dopo anni di volate e 169 vittorie al suo attivo, il Re Leone impreziosisce una carriera infinita. Il suo ruggito, in fondo a Via Roma, ha annichilito la concorrenza.
Finalmente. Ma non è il più vecchio a sfrecciare in Via Roma: nel 1999, Andrei Tchmil contava all'anagrafe trentasei primavere e due mesetti.
Cipollini è un Van Steenbergen moderno. Stringe i denti su Cipressa e Poggio. Tiene in pugno i suoi gregari Colombo, Gasperoni e Martin Perdiguero, scongiurando che smarrissero la bussola tattica quando Bettini e Figueras si sfiancano su e giù per il Poggio. E, in fondo alla picchiata sull'Aurelia, a 2.400 metri dall'appuntamento con l'immortalità sportiva, chiama Gentili a organizzare la caccia ai due leprotti ansimanti per il vento in faccia. Il gruppo di Re Leone inghiotte prima Figueras e poi Bettini, quando all'arrivo mancano 700 metri. Trenti allunga.
Poi l'olimpionico della pista Lombardi si è preso carico di tenere alta l'andatura. Quindi è la volta di Cipollini, che parte con una progressione devastante in due tempi negli ultimi 250 metri: un primo affondo in apnea, un respiro minimo, un'altra, decisiva accelerazione a 70 all'ora.
Il campione degli Stati Uniti, Fred Rodriguez, è rimbalzato indietro e, alla fine, è arrivato alla pedaliera di Cipollini soltanto perché il toscano non si è negato il privilegio e la libidine di alzare le braccia e le manone gigantesche al cielo. Stessa sorte tocca al redivivo Marcus Zberg.
Un Van Steenbergen moderno, appunto. E se Rik I dei fiamminghi era riuscito a sbancare Sanremo nel '54, perché il suo discepolo delle volate infinite non ce la faceva a cogliere l'analogo trofeo?, ci si è sempre chiesto. Si domanda Angelo Zomegnan su La Gazzetta dello Sport di domenica 24 marzo.
Forse perché da allora, patron Vincenzo Torriani aveva aggiunto il Poggio nel '60 e, un pochino più indietro, la Cipressa nell'82? La sciarada è risolta. E adesso la freccia zebrata guarda con fondate ambizioni al Mondiale di Zolder, il meno ostico dell'ultimo mezzo secolo.
E ancora non sapeva che, a trenta chilometri dall'arrivo, le ammucchiate tra Imperia e San Lorenzo a Mare, prima di aggredire la Cipressa e Poggio, avrebbero buttato giù dal ring Danilo Di Luca, Erik Zabel ed Erik Dekker (frattura alla testa del femore sinistro) di una Sanremo finalmente spumeggiante grazie anche agli attaccanti della prima parte della giornata: Schmidt, Olano, Douma, Andrle, Cuesta, Bodrogi, Hvastija, ai quali Serpellini ha fallito l'aggancio.
«Questa non è soltanto una grande vittoria - spiega Cipo -. È l'impresa della carriera e qualcosa di più. Superare per primo il traguardo è stato come entrare in una nuova dimensione. Per me quella linea d'arrivo è come la porta di Star Gate».
E ancora: «Nessuno può capire cosa significa questa corsa per me. Conoscevo ogni metro del percorso ed anche i fiori delle ultime aiuole. Pedalando in allenamento, come fischiettando in macchina, ho sempre pensato che la cosa più bella che potesse capitarmi era vincere la Sanremo».
Ha gareggiato con una fotografia di Adriano De Zan nel taschino della maglia: gliel'aveva data il figlio Davide alla partenza della prima Sanremo senza papà (il telecronista è scomparso il 24 agosto del 2001). Un talismano, che è subito finito nella personalissima galleria accanto alle pietre della maga Diamantina e ai santini di Padre Pio: sacro e profano si mescolano in continuazione nella mente e nei riti di Super Mario.
Il campione della trasformazione ha annusato il successo indispensabile a coronare la carriera già a 120 chilometri dalla mèta quando, reclamando al direttore sportivo Antonio Salutini la maglia di ricambio disegnata dallo stilista Roberto Cavalli, ha urlato ai componenti della sua ammiraglia: «Oggi vi faccio divertire io».
Re Leone era pronto alla battaglia
«Ho pensato alla mia famiglia, a mia mamma, a mio papà. Ad Adriano De Zan, il telecronista che mi voleva bene. Ho corso con la sua foto in tasca. Penso che una spinta me l'abbia data anche lui».
E precisa: «Sapevo di poter contare su una squadra fortissima. I miei compagni, tutti nel loro ruolo, sono stati straordinari. Gentili ha chiuso il buco su Bettini. Trenti ha lanciato il nostro treno ai 600 metri, poi è entrato in azione Lombardi che mi ha accompagnato dai 350 metri. Davanti allo striscione ho visto rosso e sono partito. Forse un po' troppo lungo. Avevo fretta. Sono partito e ho pregato perché Dio mi concedesse tutta l'energia per farmi tagliare quella linea bianca. Per primo».
Infine il racconto: «Parto da lontano: ero piccolissimo e già correvo in bici. Mio papà Vivaldo tornava sfatto dalla giornata di lavoro col camion, io l'aspettavo sul marciapiede di casa e lui mi accompagnava per gli allenamenti in bici. Mi parlava sempre della Via Roma. Poi sono andato con lui a vedere la Sanremo. Ho visto la neve sul Turchino. E quella Via Roma rimbombava nella mia testa. Mio papà ha avuto un'incidente ed ha perso lucidità, ma ho saputo da mia sorella che sabato ha avvertito qualcosa ed ha alzato le braccia. Per me è come vincere un'altra volta. Ho pensato di chiudere così la mia avventura con la Sanremo. Ho pensato "non la corro più". Ma il prossimo anno, con l'arrivo della primavera, sentirò il richiamo irresistibile di questa gara unica e non potrò dire di no. E poi credo di poterla rivincere, come Duclos Lassalle, che ha vinto la prima Roubaix a 37 anni e la seconda a 38. Ma è come se avessi già toccato il cielo. Nemmeno vincendo il Mondiale potrò sentirmi appagato come in Via Roma. Vorrei fermare per sempre quel momento. Metterò in una grande teca di vetro tutto quello che avevo addosso: la bici, il casco, le scarpe, i guantini e il numero di gara. Sarà il mio museo della Sanremo».
C'è anche spazio per un curioso retroscena: «Ho sempre la voglia di vincere una corsa per distacco. Avrei voluto provarci anche alla Sanremo. Mi sentivo così bene che a Scirea gli ho detto: "Se mi trovo davanti, provo a partire sul Poggio e poi faccio una discesa delle mie". E per un attimo sono stato tentato. Quando è partito Bettini, avevo la forza per rispondergli. Ma avrei rischiato troppo. E poi sono affezionato a quei brividi delle volate, all'adrenalina degli ultimi chilometri».
(2 - continua)
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