Ettore Milano, il campione che non ha mai vinto

Rivista Tuttobici Numero: 4 Anno: 2000

Ettore Milano, il campione che non ha mai vinto

di Gino Sala

Ho pensato più volte che si può essere campioni senza aver vinto una corsa. Campione nell'assecondare il proprio capitano, nello stargli vicino in modi diversi, nell'intuire, nel riferire, eccetera, eccetera. Giusto come Ettore Milano, gregario, amico e aggiungerei fratello di Fausto Coppi.

Classe 1925, un fior di giovanotto quando l'ho conosciuto io, ben messo fisicamente, un passista che odiava le salite, ma che sapeva farsi valere in volata quando era dilettante nello squadrone della Siof istruito, comandato dal massaggiatore cieco Biagio Cavanna, quando io, cronista di provincia, ero all'inizio di quella che sarebbe diventata la mia attività preferita. Sono un coetaneo (meglio dire coscritto) e un vicino di casa di Milano. Pochi chilometri mi separano da Novi Ligure. In quel di Voghera poi, Ettore ha lavorato come uomo di fiducia dei fratelli Zonca, proprietari di una fabbrica di lampadari nota in tutta Europa. Uomo di fiducia anche nel ruolo di direttore sportivo della Zonca-Santini che ha avuto tra i suoi corridori Motta e Conti. Mi viene da sorridere pensando a questo periodo, ad un episodio di quell'epoca non tanto lontana, quando per soddisfare l'insistente richiesta di un bambino, pregai Milano di farmi dono di qualche berrettino. «Soltanto uno», mi disse. «Ho un bilancio da salvaguardare. Aggiungerò una borraccia, ma niente di più. Devo risparmiare...». Tirchio? Non penso. Semmai di una correttezza esemplare nei tempi in cui il ciclismo non era miliardario e spendaccione come ai nostri giorni.
Intuire, riferire, prevenire, dicevo. Un'opera che aveva in Milano un perfetto esecutore. Come in una delle ultime tappe del Giro d'Italia 1953. Era in testa alla classifica Hugo Koblet, il discorso sembrava chiuso nel mattino della Bolzano-Bormio, ma durante le operazioni del raduno, il gregarione s'avvicina allo svizzero e chiacchierando del più e del meno scopre che il rivale di Fausto non ha una bella faccia, che deve aver trascorso una notte poco tranquilla. E così l'avvertito Coppi attacca con convinzione, con la consapevolezza di poter raddrizzare la situazione e infatti al tirare delle somme il campionissimo si aggiudicherà un Giro che sembrava perso con un vantaggio finale di 1'29" sull'elvetico. Milano in testa al gruppo in qualità di controllore, di staffetta che scrutava ogni movimento, che in pianura sapeva se era lecito o meno concedere spazio a questo o a quello. Non aveva bisogno di ricevere disposizioni, ordini da Fausto, ben conoscendo quale era il lavoro da svolgere nelle varie circostanze. A lui si rivolgevano personaggi in cerca di successi parziali per sbarcare il lunario, per festeggiare una data e dare corpo al rinnovo del contratto. «Riferirò al mio comandante, ma prevedo quale sarà la risposta. Non sarà la nostra squadra ad ostacolare i tuoi propositi...».

Vivere e lasciar vivere, il motto di Ettore. Un semplicione a prima vista, ma nella sostanza un tipo sveglio e astuto. Odiava le salite, come già detto, confessa candidamente di non aver mai valicato la cima della Bocchetta, punto cruciale e massima attrattiva del Giro dell'Appennino. Arrivava ai piedi dell'arrampicata ligure e si fermava, ma non era l'ultimo degli ultimi in montagna e all'accorrenza portava a termine le corse entro il tempo massimo per essere utile alla causa del giorno dopo. Adesso è chiamato di qua e di là per testimoniare antiche battaglie, per ricordare l'uomo che ha servito con encomiabile fedeltà, con amore e con una riconoscenza dovuta ad un "leader" grandissimo anche perché dotato di un'umanità pari alla straodinaria potenza. Questo ed altro è stato l'Ettore Milano che io saluto con simpatia e profondo affetto.
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