Dario Andriotto, tre maestri per una vita in sella

Aveva otto anni quando giocava a pallone, portiere e suo padre lo portò a vedere una corsa di ciclismo, dilettanti, nella sua città, Busto Arsizio. Finita la corsa, chiese al padre di compargli una bici. Fu accontentato: gli fu comprata una Cicli Ghirardi, in piccolo negozio di Busto Arsizio, bianca e nera.
Corse subito la prima gara e arrivò quarto, scoppiò a piangere, perché i primi tre portarono a casa una coppa, e a lui dissero solo che era stato bravo. La seconda gara vinse in volata.
In tutte le categorie, fino a juniores, compreso, continuò ad andare sempre e solo per divertimento, per gioco. Da dilettante le cose cambiarono; finalmente aveva un obiettivo, saltare il servizio militare ed entrare nella compagnia atleti. Missione riuscita fece il militare a Milano, 30 km da casa.
Il suo primo maestro fu Angelo Bianchi. Era lui che portava la squadra alle corse, agli allenamenti, a Busto Arsizio, come in qualsiasi altro posto della Lombardia. Bianchi si metteva davanti e guidava un lungo treno di piccoli corridori e li conduceva fino alla pista di Busto Garolfo. Il secondo maestro fu Donato Zampini, ex-professionista, maglia bianca al Giro d'Italia ai tempi di Fausto Coppi. Tanto Bianchi era un omone tranquillo, tanto Zampini era estroso e appassionato. Il tipo che, appena si vinceva, ne approfittava per alzare il gomito. Il tipo che predicava di 'ciular minga', che tradotto in italiano significa, più o meno, non fare mai l'amore, perché avrebbe sottratto preziose energie alla bicicletta. Il problema non era quello di, per dirla alla Zampini, ciulare, semmai il problema era esattamente il contrario: non si ciulava". E il terzo maestro, proprio alla compagnia atleti di Milano, era un altro che duellava con Coppi da gregario di Gino Bartali e Fiorenzo Magni: Renzo Zanazzi. "Raccomandava: primo, allenarsi; secondo, benzina normale e non super; terzo, vincere. Mi hanno detto che adesso, a 83 anni, Zanazzi esce in bici un giorno sì e uno no. Una leggenda".
Il gusto della vittoria, Andriotto l'ha gustato: campione del mondo nella cronosquadre 1994. Professionista dal 1995, cinque primi posti, di cui quattro a cronometro. "Non so perché, forse ho un orologio dentro. Invece in salita ho sempre fatto fatica". Capita l'antifona, capito che il motore era quello che era, capito che non avrebbe vinto granché, Andriotto si è messo al servizio della squadra. "Ma non mi sono mai sentito sminuito. Anzi. Quando vince il mio capitano, è come se vincessi anch'io".
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