Attilio Rota

Da giovane, Attilio, fece crescere al sottoscritto ragazzino, la curiosità verso la graziosa Clusone. Già, perché chi scrive, per essendo alla fine delle medie, ancora giocava a "quarcì" (tappetti) e, grazie a quel passatempo, il suo campionario di conoscenza di corridori, toccava le ottocento unità. Ed a quel tempo, Rota, era un dilettante di gran pregio, uno che non si poteva non conoscere. Lo strano nome del suo paesino, entrò così in me.... che abitavo a 400 chilometri....

Il giovane bergamasco, era un ciclista che non giunse subito all'evidenza delle risultanze, ma seppe crescere ogni anno con dovizia, fino ad esplodere compiutamente a 23 anni, nel 1968, anno in cui vinse la classicissima G.P. Liberazione e fu azzurro nella massacrante Corsa della Pace (Praga-Varsavia-Berlino). Molto stimato dal CT Elio Rimedio, non fece parte della selezione azzurra alle Olimpiadi di Città del Messico e ai Mondiali di Montevideo, solo a causa di un beffardo infortunio. Passato professionista nel 1969 (la stagione che vide il maggior numero di passaggi alla massima categoria dell'intera storia ciclistica italiana), all'interno della Sanson guidata da Gianni Motta, si fece subito valere, vincendo, con un colpo da autentico finisseur, lui che era passista scalatore, la velocissima Milano Vignola (un festival degli sprinter), dove anticipò di una manciata di secondi Franco Bitossi, che regolò i "galletti" sempre in guerra fra loro, Dino Zandegù e Marino Basso. Attilio poi, giunse terzo al Giro di Toscana, al termine di una volata a tre, con Giorgio Favaro (vincitore) ed Ernesto Jotti. Al Giro d'Italia finì 41°, tra i migliori "neopro", ma era un ciclismo di autentiche star, niente a che vedere con quello di oggi. A fine anno, a testimonianza della buona qualità del corridore, il San Silvestro d'Oro, una specie di tricolore a punti, collocò Rota al nono posto, primo dei debuttanti. Rota però, aveva ben capito che in quel pedale fatto di autentici campioni, era molto meglio mettersi al loro servizio, piuttosto che provare a giocarsi le proprie carte, col rischio di finire fra i disoccupati (ed allora era molto facile). Con la stagione '70, al cui esordio solo il grande Rudi Altig, riuscì a piegarlo nella classica "Sassari-Cagliari", iniziò il lungo status di spalla, o gregario, o luogotenente, di Attilio.
Potremmo dire un gran bel corridore che seppe divenire "angelo custode", fra i tanti coi quali ha corso, ed in successione temporale, di ciclisti come il già citato Motta, Patrick Sercu, Pierfranco Vianelli (l'olimpionico del Messico, che non seppe mai diventare qualcuno nel vero ciclismo), Ole Ritter, Roger De Vlaeminck, Johan De Muynck, Gian Battista Baronchelli, l'ultimo Franco Bitossi, Enrico Paolini, di quel regale spagnolo che era Miguel Maria Lasa, Wladimiro Panizza, Francesco Moser, Gregor Braun....
E' poi stato compagno di Giancarlo Bellini, l'uomo che passò al ciclismo direttamente dal calcio, fino a vincere il Giro d'Italia per dilettanti del '70 e la maglia a pois al Tour de France '76. E' inoltre da citare anche quel Walter Riccomi, per il quale Attilio lavorò tantissimo al Tour de France del 1976, concluso dal toscano al quinto posto finale. Nella seconda presenza alla Sanson, oltre a Moser e De Vlaeminck, Attilio ebbe come compagno, il "treno del Piave", Simone Fraccaro.
Fino al 1980, dunque, Rota fu uno di quegli uomini che si sentono anche se non hanno la ribalta e che solo il genio comunicativo di Sergio Zavoli, ha saputo degnamente raccontare nei già divenuti importanti media non su carta. Attilio era nel suo genere un grande, uno che se fosse corridore oggi, epopea di capitani sfumati e di tante possibilità di corse, sarebbe senza dubbio un possibile vincente, anche se privo di spunto veloce.
In tutti questi anni, partecipò e finì il Giro d'Italia, senza mai piazzarsi oltre la sessantesima posizione. Unica eccezione, il 1977, dove non fu presente allo start. In quell'anno però, giunse 3° al GP di Larciano, superato allo sprint da Giancarlo Tartoni e Gabriele Mugnaini (fratello minore del più celebre Marcello). Due, le partecipazioni al Tour: nel 1974, dove si ritirò nella 14esima tappa e nel già citato ''76, dove finì 36°.
Appese la bici al chiodo alla fine del 1980, a 35 anni, anche se, va detto, erano ancora diverse le squadre che l'avrebbero volentieri ingaggiato. Oggi gestisce un negozio di vernici e continua ad amare la montagna, ovvero la passione che l'ha coinvolto pienamente, dopo la fine della sua epopea ciclistica.
Un personaggio, ancora molto popolare nella sua zona.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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