Luigi Malabrocca

Quando si dice che gli albi d'oro vanno presi con le molle!
Luigi Malabrocca sarà sempre un leggendario, un riferimento per chi vorrà sfogliare il profondo romanzo del ciclismo. Eppure, il suo nome s'è scolpito su un simbolo, che pareva proseguire coi segni della concretezza la triste assonanza del suo agnomen, la maglia nera. In realtà, arrivare ultimi, in quei tempi dove ogni occasione poteva essere utile per vivere una rivincita sui disastri di un conflitto immane, rappresentava qualcosa di diverso: era un esercizio di abilità. Non c'erano le rassicuranti pedalate nella rete del gruppone, una foratura significava minuti, non c'erano rifornimenti dall'ammiraglia o dalle moto al seguito; i gregari, o gli umili che ancor non sapevano di quali valori fossero intrisi, imbastivano ad ogni prova una lotta di sopravvivenza e di qualità. Quella maglia, dal colore più tetro che ci sia, andava premiata. De Coubertin non era lontano e nell'intorno dello sport, c'era la voglia di vivere col cuore intinto di sentimenti. Spesso, ci si aggrappava alla solidarietà della gente, a quei tanti che si ponevano ai margini delle strade per un attimo di festa e di gioia. Si narrava la storia senza possedere il sinistro modus del narcisismo e della fama, del danaro per soggiogare, dei soldi per comprare il lusso. C'era la fame e niente è più onesto della miseria per sviluppare tanto l'arguzia, quanto, incredibilmente, anche se oggi l'abbiamo dimenticato, una pura bontà d'animo. Arrivare ultimi, garantiva premi e simpatia nei gruppi sportivi d'allora, tutti diretti e gestiti da chi produceva biciclette. Significava essere qualcuno, ma non era facile, anzi, difficile quasi quanto vincere come Coppi o Bartali. Lo spettro del tempo massimo, diventava enorme negli imprevisti sempre presenti sulle quelle strade sassose, sterrate, piene di buche, ove l'asfalto di oggi era un sogno. Per giungere ultimi servivano gambe, perché per restare in tempo massimo, ti poteva capitare di dover percorrere gli ultimi chilometri nel medesimo tempo dei primi. C'erano avversari e solo alcuni non bluffavano. Luisin Malabrocca è stato un genio, ed aveva pure un discreto talento. Non avrebbe vinto altrimenti una Coppa Agostoni, la Parigi-Nantes, la Parigi-St Valery e il Giro di Croazia e Slovenia. Lo sapevano i suoi compagni ed i suoi avversari e gli volevano bene. E poi, vista l'imminente stagione, a Malabrocca spetta la palma di pioniere del ciclocross nazionale: una specialità che gli ha dato tricolori e lo ha visto apri strada di assi quali Amerigo Severini e il grandissimo Renato Longo. Intenerì l'Ignis, di un uomo come il Commendator Borghi, una figura che ha giocato un ruolo notevole nell'evoluzione del ciclismo e dello sport italiano degli anni della rinascita economica.
Malabrocca, ha così raggiunto il suo avversario scolpito, senza la sua fama e senza possedere volontà e velleità ciclistiche: il muratore vicentino Sante Carollo, morto nel 2004, ad ottanta anni. Fra i due vi fu un unico duello, nell'unica annata da prof del veneto, il 1949. Carollo era un modesto, troppo modesto per non vincere...la maglia nera. Ma fu bravo, perché riuscì ugualmente ad assorbire le furbizie del tortonese, senza finire fuori tempo massimo. Per Luisin fu una disdetta, in quanto il Sante di Montecchio Vicentino, non doveva correre quel Giro, ma all'ultimo momento, il vincitore uscente Fiorenzo Magni fu costretto a dare forfait e la Willier Triestina, lo chiamò a sostituire proprio il "terzo uomo". Una storia simile, la visse pure il mio amico "Nane" Pinarello, la terza nota maglia nera, due anni dopo.
Dei quattro protagonisti del celebre libro di Benito Manzi, dunque, non è rimasto qua più nessuno, ma resta intatto l'alone della loro epopea. Le leggende corrono in cielo e lasciano a noi il compito di accarezzarle come penati.
Luisin, i tuoi occhi a mandorla e quel sorriso così capace di uscire dal fango, sono stelle che illuminano anche il nero. Chapeau!
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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