Pasquale Fabbri

Per definire in maniera stringata uno come Pasquale Fabbri, verrebbe da dire: un gran bel corridore. Longilineo, forte sul passo, più che discreto allo sprint, formidabile discesista e pure capace di tenere sulle salite non lunghe e non troppo aspre. Pasqualone, seppe incidere sulla sua ellisse ciclistica, gran belle fette d'azzurro ed un lustro davvero di nota. Molti l'han dimenticato, forse perché da Forlì, a fine carriera, le coordinate di vita lo spostarono in Liguria, ma spero con questo libro, di aggiungere a chi si ricorda di lui, nuove memorie. Ottimo esordiente e allievo in seno alla Forti e Liberi, dove restò anche nel primo anno da dilettante, esplose nel 1962, difendendo i colori dell'Alax di Meldola. Il suo essere formidabile passista gli consentì di raggiungere vittorie di prestigio e portamenti che lo collocarono fra i migliori "puri" dell'Emilia Romagna. Nel 1963, il suo crescendo continuò al punto di incontrare l'azzurro e, soprattutto, di vincere assieme ai compagni Lello Mariani e Ottorino Benedetti la Coppa Italia (campionato italiano a squadre). L'Alax divenne così la prima società romagnola ad aggiudicarsi quel prestigioso titolo. Con la Nazionale partecipò al Tour de l'Avenir chiudendo al 35° posto, dopo aver svolto un gran lavoro in pianura, per la punta azzurra Mugnaini ed aver superato stoicamente un problema fisico. Pasquale, divenne poi un punto fermo, per il CT Elio Rimedio, della "100 chilometri a squadre". Coi compagni Danilo Grassi, Dino Zandegù e Mario Maino, Fabbri conquistò la medaglia d'argento ai mondiali di Renaix in Belgio, mancando il titolo davvero per poco, a vantaggio dei francesi. In settembre, gli azzurri, nella medesima formazione, si presero la rivincita, vincendo l'Oro ai Giochi del Mediterraneo. Per Pasquale le due medaglie rappresentarono il lancio ideale per il passaggio fra i professionisti. Infatti, ad ottobre del 1963, senza indugi o ripensamenti basati sulla speranza di una partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo, decise di fare il salto di categoria, vestendo le maglie gialle dell'Ignis. Fra i prof, l'ambientamento di Fabbri non fu facile soprattutto per la concomitanza col militare che gli impedì di partecipare al Giro '64 e per le differenze nella preparazione che il team imponeva. Nel 1965 però, andò un po' meglio: fu allo start della "corsa rosa", che chiuse al 59° posto e cominciò a far vedere le sue qualità. A fine stagione l'Ignis lasciò liberi tutti gli stradisti, continuando l'attività solo coi pistard e per Pasquale non arrivò immediatamente un nuovo ingaggio. Ritornò all'antico, preparandosi come faceva da dilettante seguendo le sue sensazioni, proprio come piaceva al suo vecchio CT Rimedio e si accinse ad affrontare da isolato iniziale la stagione '66. Inserito in una formazione che raccoglieva chi era nella sua medesima situazione partecipò al Giro di Sardegna e proprio quando nell'ultima tappa poteva giocarsi la vittoria finale si trovò per ben tre volte appiedato da forature. Nonostante la sfortuna, sentiva la gamba calda e partì per la classica Sassari Cagliari, convinto di far bene. La strada gli diede ragione. Dopo aver visto svanire un primo tentativo di fuga a sei chilometri dal traguardo, per il ritorno di un drappello di inseguitori, trovò la forza di sprintare ugualmente per il successo. Il forte vento contrario presente sul rettilineo finale, favorì la sua potenza e la classica sarda fu sua. Mentre le squadre cominciarono ad interessarsi per un suo ingaggio, con la medesima formazione che gli era stata compagna in Saredegna, denominata "Queen Anne", partì per la Vuelta di Spagna. Qui, la sua condotta ebbe dell'incredibile, ed alla luce di come andò a finire, fu perfino beffarda. Su ventidue tappe, in tredici, Pasquale Fabbri giunse nei primi dieci, raccogliendo due secondi posti, quattro terzi, due quarti, un quinto, un settimo, un ottavo, un nono e un decimo. Finì terzo nella classifica a punti, insomma un ruolino che meritava tanto di più, ma almeno face capire che il bel dilettante azzurro, era tornato. Terminato il Giro di Spagna, la Filotex lo assunse con lo scopo di farne il protettore in pianura di Franco Bitossi. Per Fabbri iniziò una nuova carriera, con poche occasioni personali, ma almeno con lo stipendio garantito. Con Bitossi rimase fino alla fine del 1967, lavorando duro e senza l'onore della ribalta, ma con la stima dell'ambiente. La dimostrazione arrivò dalla nascente formazione della Pepsi Cola che gli offrì un contratto per la stagione '68 con un ruolo non da gregario. Come dire che i dirigenti del neonato sodalizio credevano in lui. Pasquale però, preferì pensare alla vita extra sport e alla sua nascente attività commerciale che, da Forlì, la città nella quale si era trasferito a sei anni dalla bidentina Galeata, lo avrebbe portato nel sanremese, in Liguria. Lì, in quella terra che al profumo dei fiori, aggiunge il fervore sognante degli epici passaggi del romanzo ciclistico, ha trascorso e continuerà a trascorrere i suoi giorni. Lo ha fatto e lo fa, senza rimpianti per aver terminato anzitempo il suo segmento sportivo, ma un pensierino a quello che poteva recitare, ogni tanto, in lui, fa capolino. Sono le carezze dei ricordi, sempre e comunque un patrimonio che ci portiamo come penati immanenti nel nostro cammino.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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