Franco Ballerini, un ricordo personale

Febbraio 2010, la morte improvvisa di Franco Ballerini è stato un duro colpo per il movimento ciclistico italiano, non solo per il ruolo che ricopriva (Commissario Tecnico della Nazionale italiana professionisti), ma soprattutto per il carisma che Franco aveva nell'ambiente.
Ero giovane, avendo due anni meno di Franco, quando mio padre mi parlava dei piccoli campioni che correvano a Firenze e dintorni con la maglia del G.S. Romito. Mio padre conosceva Franco e chi lo guidava; l'entusiasmo del quartiere per le gesta del giovane ragazzo e dei suoi compagni era alle stelle. Io, lo ammetto, non l'ho mai seguito personalmente nelle corse giovanili, ma il nome di Franco Ballerini mi è sempre rimasto nella testa e ho seguito le sue gesta da professionista. Il ragazzino è cresciuto e si è affermato in ciò che gli piaceva fare, in uno sport di fatica e di sofferenza, dove, chi non sa soffrire non riesce ad emergere. Franco sapeva soffrire, molte volte raccontava dei duri allenamenti, del male alle gambe che si deve vincere per andare oltre i propri limiti. Aveva inoltre una brutta allergia primaverile che ne limitava sempre il rendimento nella parte centrale della stagione, ma non se ne era mai lamentato eccessivamente.
Come uomo era difficile non riconoscere a Franco l'eleganza, lo stile. Sempre curato e ben vestito, quello che però colpiva di lui era la sua umanità e la sua disponibilità. Passato dall'attività agonistica all'ammiraglia era cercato e voluto da tutti, ambita figura istituzionale che tutti avevano piacere di invitare alle più disparate cerimonie e manifestazioni. E quando c'era lui, ogni occasione ciclistico-mondana assumeva tutta un'altra caratura. Proprio in una di queste occasioni, in un inverno non troppo lontano, avevo avuto il piacere di conoscerlo di persona, di parlarci, di intervistarlo e di capire che personaggio fosse. Le sue parole quasi incantavano l'interlocutore e quello che diceva non scadeva mai nel banale.
Amato e ben accolto da tutto l'ambiente e in particolare dai corridori, molti dei quali ci avevano corso insieme, non aveva avuto difficoltà a calarsi in un ruolo difficile ed importante come quello di Commissario Tecnico della Nazionale. Indipendentemente dai successi ottenuti aveva creato un ambiente particolare, quasi familiare, in seno alla squadra azzurra, dove l'obiettivo della squadra prevaricava quello del singolo. Aveva dato una sua impronta precisa ad un ruolo difficile che solo un grande personaggio poteva sostenere. Non sarà facile per la Federazione trovare un degno sostituto a una figura così carismatica, ad un "grande" che una fredda domenica d'inverno si è portato via, portato via ai suoi cari, a sua moglie Sabrina e ai suoi due figli, agli amici e ai compagni di cammino di una lunga carriera. Aveva 45 anni e il meglio, nonostante tutto quello che aveva costruito in bici e in ammiraglia, era ancora davanti a lui.
Articolo inviato da: Paolo Mannini (Firenze)
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