Michele Bartoli, la scoperta del Grande Nord

La prima volta Michele Bartoli faceva il dilettante. C'era questa trasferta in Belgio, e quando partì non sapeva ancora che si sarebbe innamorato a prima vista. Quelle erano corse che gli erano sempre piaciute più di tutte, anche viste in tivù.
Fu un colpo di fulmine: le strade murate di gente, le partenze al buio e al freddo delle mattine fiamminghe. Michele vinse subito, perché era giusto così: quelle sarebbero state per sempre le sue corse, le sue strade, la sua passione profonda. Correva sui percorsi che qualche anno più tardi avrebbe dominato, e vinceva. Erano le strade del Fiandre e della Liegi, e lui le imparava a memoria arrivando primo fra i dilettanti. Ci vinse anche i mondiali militari a cronometro, in quartetto. Aveva puntato tutto sul ciclismo, senza pensare che magari era un azzardo. La scuola l'aveva lasciata lì dopo la terza media. Basta con la scuola, senza rimpianti, al giovane Bartoli piacevano le corse: all'inizio Moser, poi Lemond e più di tutti Bugno, che dopo è diventato un compagno di squadra e un amico.
Intanto, fra i dilettanti, nasceva l'amicizia con Luca Scinto, che è stato il più fedele gregario di Michele. Da dilettante continuò a correre poco, seguendo i consigli di papà Graziano. Ma vinse meno di prima. Questa è la categoria che gli è risultata più complicata di tutte. Il salto fu difficile, l'ambiente gli sembrava pesante. Cominciava a essere quasi un lavoro, e si divertivo meno di prima. Prima era un gioco, dopo sembrava sempre questione di vita o di morte, ogni corsa era l'ultima spiaggia. Non era pronto, gli costava tanto vedere il ciclismo in quel modo.
Alla fine degli anni da dilettante non arriva neanche il premio della maglia azzurra: alle Olimpiadi di Barcellona vanno Casartelli, Rebellin e Gualdi, per Michele è la prima grande esclusione.
In quegli anni c'è soltanto un corridore che gli sembra di un'altra categoria: Tarocco, un fenomeno. Erano amici, in nazionale sono stati compagni di stanza. Era proprio fortissimo, più di tutti gli altri. Purtroppo lo ha fermato il ginocchio.
Alla fine del '92 Bartoli diventa professionista con la Mercatone Uno, ma gli bastano le ultime corse della stagione per farsi prendere dai dubbi.
Voleva smettere, gli sembrava che andassero tutti molto più forte di me, troppo forte. Si convinse di non essere tagliato. È stata Alessandra, la sua ragazza, a insistere, a dirgli che non poteva lasciare così qualcosa per cui si era sacrificato da sempre. E alla fine non smise di correre".
Da allora c'è sempre stata Alessandra dietro i successi di Bartoli, e accanto a lui nei momenti difficili. Cominciando da quelle sere piene di dubbi nell'inverno fra il '92 e il '93, quando Michele aveva ventidue anni e non riusciva neanche a immaginare quanto sarebbe stata piena di luce la sua carriera di corridore.
A partire dalla prima corsa del '93. Michele va alla Settimana Siciliana, in ammiraglia ci sono Gini e Salutini. Era la prima tappa, un circuito con una salitella, l'arrivo a Palermo, nella strada dell'attentato al giudice Borsellino, il giorno dopo ripartirono da Capaci, dove c'era stata la strage di Falcone. Era una giornata tremenda: pioggia, vento, un freddo pungente, più che Sicilia sembrava Belgio. Erano rimasti in cinque, il compagno Fornaciari gli tirò la volata: Bartoli primo, Fornaciari secondo.
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