Mario Cipollini, la storia di un mito - 1a puntata

Rivista Tuttobici Numero: 6 Anno: 2005

Cipollini, la storia di un mito - 1a puntata

di Bibi Ajraghi

«Era una domenica del giugno 1974, quando andai col mio babbo Vivaldo a Porcari. Avevo poco più di sette anni. Era la mia prima corsa in bicicletta. Avevo una Fanini azzurra con pedivelle così lunghe che mi massacravano il polpaccio. Pronti. Via. Ed ero in testa. Facevamo due giri di un chilometro ciascuno e quella volta non ci fu bisogno della volata. Arrivai tutto solo, con un vantaggio enorme».
Così Mario Cipollini, ricorda e racconta la sua prima gara. Il fratello Cesare a quel tempo era uno dei dilettanti più promettenti, correva anche la sorella Tiziana, e papà Vivaldo, con una passionaccia vera e autentica per questo sport, aveva gareggiato fino alla soglia del professionismo all'epoca di Ercole Baldini e Gastone Nencini, prima di scendere di bicicletta e salire su un camion che sarebbe diventato la sua seconda casa.
Mario è nato e cresciuto in mezzo alle biciclette, nella bella villa su due piani a San Giusto di Compito, frazione di Capannori ai piedi del Monte Serra, in mezzo agli ulivi. «Ricordo che quella domenica del '74, a Porcari, mi premiarono con una coppa, un mazzo di fiori e un bacio della miss. Mi sembrava di sognare, la cerimonia era quasi come quella riservata ai corridori grandi, professionisti». Papà Vivaldo, inutile dirlo, era felice come un bimbo per il suo bimbo. Ma la gioia durò davvero poco: una questione di minuti. I giudici si avvicinarono a papà Vivaldo, e prendendolo in disparte gli comunicarono che sulla bicicletta del suo figliuolo c'era qualcosa che non andava: era stato montato un rapporto più lungo di quello previsto dal regolamento. «Compresi in quel momento che l'altare e la polvere fanno parte della stessa favola...».
Un brutto colpo, ma anche un segno del destino, che formò il carattere di quel ragazzino di nome Mario Cipollini. Quel contrattempo è roba da predestinati del pedale. Anche ad Alfredo Binda capitò di essere squalificato in Francia, dopo aver vinto al debutto la "Primi Passi Morini", perché non aveva risposto al secondo appello. Cipollini non si buttò giù. Anzi, fece di più e di meglio, come nel suo carattere: vinse 17 delle 18 gare alle quali prese parte in quella stagione. «Ne persi una sola, arrivando secondo dietro a Stefano Della Santa, perché forse mi spaventò l'idea di avere la sua ombra dietro la mia schiena: non c'ero abituato, mi condizionò».
L'infanzia di Mario Cipollini è stata felice quanto spericolata. A sei anni rubò la 500 di mamma Alfreda per fare un giretto intorno a casa. Un giorno, per fare un dispetto, allentò i freni alla bicicletta che nonna Maria avrebbe usato in discesa. E mamma Cipollini ricorda ancora oggi benissimo di quando buttò la bici di Mario dal balcone perché lo aveva visto sfiorare un frontale con un camion.
Ma il ciclismo ha anche salvato la vita al piccolo Mario. Dopo un avvio vincente e stravolgente, da piccolo cucciolo di Re Leone, ad un certo punto l'incantesimo sembrava essersi rotto. A 14 anni, mentre era esordiente, Mario cominciò ad accusare debolezza e con troppa frequenza aveva febbre. Le prime visite suggerirono terapie al cortisone, ma la febbre non voleva saperne di andarsene. I Cipollini cominciavano a temere qualcosa di grave e la disperazione aumentava in maniera esponenziale. Il giorno stesso in cui l'Italia del presidente Pertini era davanti alla tivù a seguire la tragica vicenda di Alfredino Rampi, il bambino caduto in un pozzo artesiano, Mario entrò in ospedale a Lucca per l'ennesima visita di controllo. E fu quel giorno che avvenne quello che i Cipollini definiscono ancora oggi un "miracolo". Il dottor Quilici intuì che Mario soffriva di sarcoidosi polmonare, una malattia rarissima, che avrebbe portato i suoi polmoni a rinsecchirsi fino a diventare causa di morte. «Io sono malato di cancro e sto per morire, ma tu ne uscirai più forte di prima e porterai la maglia gialla sulla mia tomba», disse il dottor Quilici nel salutare Mario.
«Ricordo che andai in pellegrinaggio a Castellania con i miei genitori per deporre fiori sulla tomba di Coppi, come per un rito di ringraziamento. Dodici anni dopo, andai a trovare il dottor Qulici e posai sulla sua tomba un mazzo di fiori e una maglia gialla, quella che conquistai al Tour del '93...».
Mario è sempre stato un ragazzo molto esuberante. Piero Pieroni racconta che un giorno andò a casa Cipollini per trattare il passaggio di Cesare nella Gis e per avere due minuti di pace dovettero legare Mario a un ulivo. A scuola se la cavava molto bene, ma non si applicava. Si disinteressava per mesi e con uno sprint dei suoi riusciva a salvare proprio al fotofinish l'anno scolastico.
Nelle categorie giovanili Re Leone ha vinto 125 corse, cambiando tre squadre: Velo Club Coppi Lunata, Fanini Porcari e Serri-Berneschi (Bottegone) tra i dilettanti. Il primo grande successo arrivò nel 1985, quando riuscì a portare a casa la maglia iridata della 4x70 chilometri riservata agli juniores. Assieme a lui, a comporre il quartetto azzurro sulle strade di Stoccarda, c'erano Dametto, Gallerani e Lorenzi.
Mario avrebbe anche potuto vincere un oro olimpico, nell'88, a Seul, che invece finì al tedesco Olaf Ludwig, atleta che Mario batteva regolarmente. Il problema è che quell'Olimpiade il giovane Cipollini fu costretta a seguirla in tivù, visto che poco prima pensò bene di fare un frontale con un camion a 120 all'ora. Se la cavò con una botta alla testa e una al ginocchio, ma addio sogni a cinque cerchi, proprio alla vigilia del passaggio tra i professionisti, con la maglia giallonera della Del Tongo, dove ad attenderlo c'erano Fondriest e Chioccioli.
«Ho corso al suo fianco, nella Del Tongo, quando Mario passò professionista - racconta Cesare, il fratello maggiore, con alle spalle dodici anni di professionismo -. Compresi al volo che sarebbe diventato un grandissimo».
Se Mario è diventato quel che è diventato lo deve anche un po' a lui. Grandissimo talento, tutto genio e sregolatezza, Cesare era ancora junior quando venne convocato per l'Olimpiade di Montreal '76, dove corse (grazie a una deroga) nel quartetto dell'inseguimento su pista con Beppe Saronni, Rino De Candido e Sandro Callari. Gli pronosticavano una carriera alla Saronni, ma non decollò di fatto mai, pur correndo nella massima serie dal 1978 al 1990.
«Mario l'ho sempre visto poco, anche perché ero sempre via con le nazionali di pista e strada e perché mi sono sposato a vent'anni. Lo seguiva soprattutto papà Vivaldo. Ricordo però di averlo visto doppiare tutti in una gara per giovanissimi a Santa Croce sull'Arno. Quando era junior e dilettante si allenava con me e lo vedevo fare volate da brividi anche in allenamento. Così alle gare dei professionisti avvertivo i vari Saronni, Bontempi e Baffi: "Cercate di vincere adesso tutto quel che potete, perché appena passa mio fratello non vincerete più una volata". Quando Mario è passato hanno cominciato a capire cosa intendessi dire. A cominciare dal Giro di Puglia '89, dove a tirargli le volate c'ero anch'io in maglia Del Tongo».
Proprio così: nel primo "treno" di Mario Cipollini c'erano anche il fratello Cesare e Franco Chioccioli. A Rutigliano, Giro di Puglia '89, prima stagione tra i professionisti, Cipollini lasciò i compagni a 250 metri per liberare quella che sarebbe diventata una "griffe" assolutamente sua, la sua proverbiale progressione: una prolungata esplosione di potenza, che lo rendeva nel gesto della volata unico. Per eleganza e presenza scenica. Un artista. In quel gesto c'era la potenza di "Ciclone" Bontempi, la scelta di tempo di Saronni, l'imponenza di Van Steenbergen e poi c'era qualcosa che era assolutamente suo: l'eleganza, appunto.
Cipo ci prese subito gusto e bissò il primo successo il giorno dopo, a Taranto e il tris nell'ultima tappa, sull'arrivo in leggera salita di Martinafranca. Dopo quel Giro di Puglia, il ciclismo aveva trovato un nuovo protagonista. Che al suo primo Giro d'Italia si sarebbe immediatamente ripetuto. Vinse la sua prima tappa a Mira, dopo una lunga serie di piazzamenti. Gabriele Mugnaini era nello staff di quella Del Tongo, e in pratica fino alla fine è stato il suo massaggiatore personale.
«Fin dal primo raduno ci disse che avrebbe messo in fila tutti i più forti velocisti del mondo - ricorda - . Lo confesso: lo guardavo stranito e pensavo tra me e me "ma guarda questo ragazzino. Ne ho visti tanti di gasati, ma come questo mai". E invece con gli anni ho capito che aveva ragione. Non c'è mai stato un velocista così. Con lui capacità e convinzione dormono nello stesso letto».
Il secondo anno tra i professionisti cominciò in ritardo perché Mario ebbe un incidente in jeep, con Ballerini, mentre stava raggiungendo il raduno della Del Tongo. Debutto stagionale rinviato alla Tirreno-Adriatico, ma alla Tre Giorni di La Panne, tradizionale avviacinamento alle Classiche del Nord, centrò una tappa. Duro e amaro invece il confronto con la Parigi-Roubaix. Cipollini si lanciò con ardore ma cadde dopo la Foresta di Arenberg e finì la corsa in ambulanza con un ginocchio insanguinato: 37 punti di sutura. Quando gli chiesero se avesse paura della Roubaix, lui rispose seccamente: «Nella mia vita ho avuto paura soltanto di Belfagor, il fantasma del Louvre di una vecchia serie televisiva. Per il resto non c'è corsa o avversario che mi abbia mai spaventato».
Prima ancora che gli togliessero i punti, Mario rivinse due tappe del Giro di Puglia. Poi la Milano-Vignola e due tappe del Giro, a Udine e Milano, salendo sull'ultimo podio accanto a Bugno fasciato dalla maglia rosa.
I primi anni Novanta furono gli anni della costruzione di Cipollini come campione di caratura mondiale. L'avversario di riferimento era l'uzbeko Abdujaparov, con il quale inscenò duelli rusticani al Giro e alla Gand-Wevelgem. Cipo perse la classica fiamminga nel '91, ma vinse nel '92 per squalifica di Abdu e stravinse nel '93, quando a tirargli la volata c'erano Tchmil, Ballerini e Museeuw, altri fuoriclasse del dream-team MG-GB. Con quel gruppo straordinario, Re Leone debuttò al Tour nel '93. Vinse la volata di Les Sables d'Olonne e vestì la maglia gialla, il 7 luglio, dopo la cronosquadre di Avranches.
(1 - continua)
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