Mario Cipollini, "Re Leone"

Nato a Lucca il 22 marzo 1967. Velocista. Professionista dal 1989 al 2005 e nel 2008, con 192 vittorie.
Secondo molti, Mario Cipollini è stato il più grande velocista del ciclismo moderno. È probabilmente vero, alla luce del missaggio fra vittorie, stile ed efficacia. Ma è anche necessario, a monte, fare un distinguo: le volate contemporanee sono figlie di squadra, potremmo definirle espressioni del crescente culto della velocità, che ha modificato oltre al modo di fare gli sprint, anche le stesse corse. Mai come oggi, infatti, le prove senza eccessive difficoltà, si vanno a chiudere con un volatone cercato e ricercato, che ammazza il 90-95% dei tentativi di portare in porto fughe.
Insomma, le opportunità che ha avuto Cipollini, sul quale ha sempre gravitato una squadra votata alla nuova filosofia dello sprint, sono state superiori a quelle di altri suoi avversari, ed anche se chi scrive, vede "SuperMario" come il più forte, è giusto ricordarlo ad ogni disamina. Altro aspetto che non gli giova, nonostante il monte vittorie penda dalla sua parte, l'aver trascurato la possibilità di vincere qualche altra bella corsa, magari anche classica, senza scegliere prima i traguardi e, poi, aspettare la volata. Certo, perché l'atleta Cipollini, aveva classe superiore a quella che gli viene riconosciuta siamese allo sprint. Era fortissimo sul passo, poteva essere un ottimo cronoman e poteva entrare nelle fughe senza dannarsi troppo, vista la potenza di cui disponeva. Persino le salite brevi, da rapporto, poteva berle senza andare in crisi. Lui ha fatto una scelta di convenienza che va rispettata, ma in molti, a chi scrive compreso, ha lasciato una certa amarezza, per averci tolto un pezzetto del tanto che la natura gli aveva donato. In ogni caso, per tre lustri, Mario Cipollini è stato un faro sulla bicicletta e, questo sì per tutti, un innovatore nel rapporto col pubblico, trasportando sul ciclismo quella sua eccentricità extra, nonché quella cura dell'immagine, che ha aperto strade nuove all'intero movimento, anche se rimane unica nelle sue intensità. Un personaggio dunque, aldilà del magnifico atleta. Altra pecca, l'essersi incaponito a non terminare quel Tour de France che pure lo ha ammirato non poco nelle sue regali volate. Ne nacque una disputa con gli organizzatori della Grande Boucle che gli ha precluso diverse partecipazioni, ma anche se l'atteggiamento di Leblanc e collaboratori era sbagliato, pesante e denso di arroganza, non si può dire che Mario non gli abbia prestato il fianco. Quel che è certo, è che il modo corretto lineare di fare le volate e di essere faro del gruppo del toscano, ha tolto molti interessi anche a quel Tour che, per dieci-undici tappe, è stato per lustri monotono e non degno della sua storia. Non a caso, "SuperMario" ha vissuto nelle corse a tappe gran parte dei suoi acuti significativi. Fra i suoi 192 successi ci sono infatti 42 vittorie di tappa sulle strade del Giro d'Italia (record assoluto ogni tempo), 12 al Tour de France, 3 alla Vuelta di Spagna, 14 al Giro del Mediterraneo, 12 al Giro di Romandia, 11 al Giro di Catalogna, 9 al Giro di Puglia, 8 alla Parigi-Nizza, 6 alla Vuelta Valenciana e alla Vuelta d'Aragona, 4 alla Tirreno-Adriatico, 3 alla Quattro Giorni di Dunkerque, alla Tre Giorni di La Panne, all'Etoile de Besseges e alla Settimana Siciliana. Al Giro d'Italia e stato Maglia Rosa più volte, ma ha soprattutto vinto la Classifica a punti in tre edizioni: nel 1992-'97-2002.
Anche al Tour de France ha vestito più volte la mitica Maglia Gialla.
Le chicche di carriera fra Classiche e gare in linea, vedono nella vittoria annunciata nel Mondiale di Zolder - alla seconda Maglia Azzurra professionistica dopo quella delle Olimpiadi di Atlanta - il pezzo forte di Cipollini. Si trattò del coronamento di una stagione dove, già trentacinquenne, seppe vincere la Milano Sanremo e la sua terza Gand Wevelgem, dieci anni dopo la prima vittoria. Il 7 marzo 2005, il suo ultimo successo nel Giro della Provincia di Lucca. Esattamente due mesi dopo, il 7 maggio, a dieci giorni dall'inizio del Giro d'Italia, sì ritirò una prima volta dalle competizioni. Poi, un ritorno brevissimo, a 41 anni, negli Stati Uniti, che non aggiunse nulla alla sua leggenda.
Ma la sua volata com'era?
Quando si parla di regalità nello sprint, Mario entra a pieno diritto, come l'attore che meglio di tutti, ne ha tracciato e giustificato il termine. Era lineare. Un fuso che s'alzava sui pedali spingenti il maggiore dei rapporti disponibili, senza sbavature e sbandamenti, quasi sempre al centro della carreggiata. Una realtà che prestava, come nessuna, la sua ruota a riferimento per gli avversari, consentendo a chi la conquistava, un terreno facile anche per l'imponenza dell'atleta, al fine di sfruttarne la scia e lanciarsi a velocità che potevano toccare quelle del suono, in un affondo non complicato come traiettoria. Era però una realtà spesso sirena, perché Mario, il suo lampo radente, lo possedeva come le mani e se lo teneva per sé; così, quando chi gli era a ruota provava ad uscire, o si frustava con l'aria, o riusciva, al più, a raggiungere con la sua ruota anteriore, l'intorno della pedaliera di Cipollini. I traguardi delle ruote veloci, spesso sotto quel sole che pareva aver donato a Mario uno spizzico del linguaggio della luce, irradiavano un uomo imponente, a braccia alzate, col nomignolo più giusto e sincronico a ciò che si presentava al pubblico in quei momenti: "Re Leone". Già, una giungla di forsennati della velocità alla corte di un sire che ne possedeva gli stigmi alati. Solo due di quella giungla, han rotto con l'intensità che supera l'eccezione che conferma la regola, la costanza di quell'immagine del re che pone lo scettro sul traguardo, nel pieno della sua epoca d'oro: un uomo screziato nell'arte pedalatoria, che rendeva confusione sul sire a monte dell'affondo e nell'inserimento, chiamato "Abdu" e, l'altro, un giovane artista, un Maspes e/o Pettenella della strada forgiato su pista, maledetto a se stesso come ogni angelo che diventa frequentatore d'osterie perché nato fra gli uomini, chiamato Ivan Quaranta. Due opposti, due che con la loro esistenza, han impreziosito il mito di Re Leone, l'uomo, l'unico, che rendeva passeggiata d'esibizione, la potenza devastante del suo motore. Ed a ben pensarci, una peculiarità che lo eleva, pur con la sola variabile velocistica, checché ne dica Jean Marie Leblanc, a quei "Mostri del Pedale" che impongono agli storici, a riservar loro pagine e pagine del grande romanzo ciclistico.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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