Marino Fontana

Nato l'11 marzo.1936 a Caldogno (VI), ed ivi deceduto l'11 giugno 2013. Passista scalatore, alto m. 1,71per kg 67. Professionista dal 1960 al 1966, con una vittoria.
Un corridore certamente più forte di quanto non lasci intravvedere il curriculum, riassumibile su quel "di tutto un po'", che l'ha comunque contraddistinto in un'epoca dove il ciclismo recitava nitidezza nei ruoli, era onesto nei valori e dove insistevano personalità forti, vere, ma tutte più o meno lontane da quell'interesse che, col tempo, è giunto a sopprimere le passioni. Una figura ben immersa sugli sfondi di quegli anni '60 che, in ogni campo della vita, sono stati gli ultimi a possedere un certo equilibrio, fra progresso scientifico-tecnologico e progresso prettamente umano. L'ultimo avamposto, ove era ancora possibile sognare un mondo migliore, con un minimo di credibilità oggettiva, prima del progressivo buio che ha spento ogni candelabro isolatissimo di nicchie vergognosamente definite "fuori dal tempo" della vite e dell'inevitabile, in quanto logiche. Anni in cui lo sport della bici ruggiva quell'insieme che, negli scontri, ti lasciava ugualmente quel minimo comun denominatore, capace di spingere i bambini ad una laica, caleidoscopica, ed acculturante religione ciclistica. Poteva così capitare che i ragazzi amassero col fare dell'ammirazione un Fontana, che non vinceva quasi mai, ma era lì, sempre lì, quasi gregario e quasi capitano, acquaiolo e scalatore, velocista da gruppetto e disperato discesista che otteneva dai compagni ruote e borracce, così come le portava lui. Pieno di buon senso, con quell'indole al dovere che rasenta il naturale masochismo, spesso in binomio col rispetto verso chi ti da il pane. E di lì, quel "di tutto in po'", che lo distingueva come atleta che da dilettante faceva sognare vincendo il "Trofeo De Gasperi" e che, da professionista, lo elesse protagonista, per senza la brillantina della vittoria frequente, a parte la cornice radiosa del Giro di Toscana '61 e di quella sfiorata, o meglio ottenuta, che valeva la Maglia Tricolore nel '63, e che, poi, lo legherà indissolubilmente ad una pagina triste della storia del ciclismo italiano. Già, un ruolo-effige che portò un'azienda come la San Pellegrino, a chiudere per sempre le proprie porte al ciclismo e che, di fatto, modificò i destini di un gruppo di corridori di buon livello, ed il percorso nel dopo carriera, di un grande come Gino Bartali. Sì, proprio quel "Ginettaccio", tanto brontolone quanto buono, che voleva bene a Marino e che se l'è sempre tenuto stretto sulle mitiche maglie arancio con fascia bianca della San Pellegrino. Il dopo quei tristi eventi della primavera '63, vide Fontana ricevere l'ulteriore frustrazione di dover vendere, per farsi un plausibile stipendio, gli elettrodomestici della claudicante Firte, l'azienda ligure subentrata alla leader delle aranciate, dopo il di questi abbandono, ed accasarsi alla Lygie del "naif" Taccone nel 1964. Scorci agonisticamente buoni, come sempre, nel romanzo di Fontana, prima di iniziare ad insegnare ciclismo: sulla bicicletta alla Maino nel '65 e nella neofita Mainetti nel '66. L'anno seguente, salì sull'ammiraglia di quest'ultimo sodalizio e lanciò al meglio quel velocista, vicentino come lui, che, volendo, teneva anche sull'aspro: Marino Basso. Anche da nocchiero era proprio bravo il buon Fontana di Caldogno. Albani lo volle con sé alla Molteni, dove dopo Basso e Dancelli, si trovò, nel '71, a guidare un certo Eddy Merckx. Poi, nel '73, un salto in proprio con la Jollj Ceramica, dove unì i suoi consigli ad un ragazzino che, da subito, impegnò proprio il Cannibale: Giovanni Battaglin. Ma il ciclismo stava velocemente cambiando....in peggio, ed alla fine della stagione '77, il dignitoso e d'un pezzo Marino, lasciò l'ammiraglia per dedicarsi al suo negozio di articoli sportivi, destinandosi al calcio e alla sua cittadina, divenendone pure Assessore. Col ciclismo sempre più lontano, ha passato gli ultimi suoi anni, prima d'essere sconfitto da una malattia. Anni vissuti col piglio-dovere degli sportivi veri, quelli che vogliono questa particolare forma espressiva, come un monumento nella fase educativa e psicofisica dei giovani. Non quelli che vivon di ricordi e che, magari, nello sport si destinano, anima e corpo, per chi giovane non è più e che, magari, si riempie di fiele, per vincere l'epitaffio della Coppa del nonno, o essere moderna icona....del poco.
Ciao Marino, eri popolare in me bambino, ed oggi, da vecchio, ti sento come allora.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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