Ercole Baldini

Nato a Villanova di Forlì il 26 gennaio 1933. Passista. Professionista dal 1957 al 1964, con 40 vittorie.
Uno dei più grandi corridori che l'Italia abbia mai avuto, e su taluni aspetti del ciclismo, uno dei primissimi dell'intera storia mondiale di questo sport. A dirlo non è l'amicizia che intercorre fra di noi e nemmeno il feeling che può nascere fra due persone della medesima terra, ma l'obiettività, la conoscenza delle realtà di una disciplina come il ciclismo, così particolare, tanto nella durezza, quanto nell'esaltazione antropologica.
Baldini, questo grande ed eccelso del segmento storico di Forlì, nacque da una famiglia contadina che ha fatto del pragmatismo e della devozione ai valori di una cultura, i propri penati e lui nacque davvero come un predestinato sincronico al nome del mitico eroe greco, fino a divenire veramente... un Ercole. Un atleta cui ogni divulgatore e narratore di questo sport, dovrà necessariamente dedicare un capitolo, perennemente. Nella carriera di Baldini, infatti, ci sono delle perle e dei record difficilmente ripetibili, anche per supercampioni. Un suo primato risulta tuttora ineguagliato: il formidabile passista forlivese è l'unico nella storia del ciclismo ad aver vinto un titolo mondiale su pista , il titolo olimpico su strada e quello mondiale su strada. Nessuno ha saputo eguagliarlo, nemmeno l'olandese Henne Kuiper e il tedesco Jan Ulrich, che pure hanno vinto olimpiadi e mondiali su strada (fra dilettanti e professionisti) e nemmeno l'immenso Eddy Merckx che pure ha vinto l'iride fra i dilettanti e fra i professionisti. Ercole possiede poi un altro record che è tutt'oggi in vigore: quello dell'ora a livello del mare fra i dilettanti. Quando il grande corridore romagnolo stabilì questo primato nel lontano 1956, esso era il record dell'ora anche fra i professionisti, ed anche qui Baldini risulta ineguagliato. E' infatti stato l'unico a conseguire la miglior performance sull'ora, pur essendo ancora dilettante. Bastano queste note, per capire la grandezza di questo personaggio ben presto chiamato "Il Treno di Forlì" e mi pare alquanto restrittivo, ridurre in pochi spazi la sua fulgida carriera.
Debuttò nel ciclismo nel 1951 con la maglia gialloblu dell'Unione Ciclistica Scat e, dopo tre anni, nel 1954, stabilì il record dell'ora fra i dilettanti, compiendo 44,870 km. Ma fu il 1956 l'anno in cui l'Ercole di Romagna, mise tutto il mondo del pedale ai suoi piedi e fece pensare ai più, che l'Italia aveva trovato un nuovo Coppi.
Tanto per cambiare, ritentò il record dell'ora al Vigorelli e stabilì, con 46,393 km, il nuovo limite dei dilettanti e pure quello dei professionisti, togliendolo a Jacques Anquetil che l'aveva tolto a Coppi. Vinse il tricolore dell'inseguimento, superando un certo....Leandro Faggin e, tre settimane dopo, conquistò a Copenaghen l'iride nella stessa specialità, superando ancora una volta il nobile avversario. Ma il Treno di Forlì aveva ancora in serbo le energie migliori, ed in autunno si spostò agli antipodi, per vincere con una superiorità disarmante, la prova su strada alle Olimpiadi di Melbourne. Baldini non vinse, ma dominò, come sapeva fare solo Coppi ed in seguito Merckx.
Il 1957, segnò il suo passaggio al professionismo in maglia Legnano. Il debutto di Ercole fu subito di gran pregio. Al Giro d'Italia vinse la cronometro di Forte dei Marmi e finì al terzo posto nella classifica finale. Vinse poi il Giro di Romagna, il Giro del Lazio, il Gran Premio Campari a Lugano, il Trofeo Baracchi con Fausto Coppi e, soprattutto, il Campionato Italiano. Ma fu il 1958 la sua stagione d'oro. Tante vittorie (15), oltre alla prima edizione del Trofeo Tendicollo Universal di cui parlerò, ovviamente, a parte. Cominciò la sua serie con le frazioni di Lecce e Castellamare del Gran Premio Ciclomotoristico. Quindi il Giro d'Italia, vinto da autentico dominatore, arricchito da quattro vittorie di tappa, fra le quali l'arrivo solitario sull'erta di Boscochiesanuova, davanti al fior fiore degli scalatori e la tappa a cronometro di Viareggio, dove mandò fuori tempo massimo mezzo gruppo. Altro sigillo di nota, il Trofeo Matteotti, indi il Gran Premio Industria e Commercio, il Campionato Italiano, il Circuito di Collecchio. Arrivò ai Mondiali di Reims col ruolo di possibile vincente e non tardò a dimostrarsi il più forte raccogliendo un suggerimento di Coppi, che gli disse di inserirsi in una fuga che, ai più, appariva ardita e senza sbocchi. Di qui, invece, Ercole, seppe poi scaricare i compagni d'avventura, fra i quali Luison Bobet che correva in casa, e giunse sul traguardo iridato per cogliere una delle più belle, convincenti e leggendarie vittorie della storia dei Mondiali. In maglia iridata, assieme ad Aldo Moser, colse poi a fine stagione, il successo nel Trofeo Baracchi. La Romagna aveva così trovato un campione che la stava facendo conoscere al mondo, nell'alveo più pieno dell'ammirazione. Ed il ragazzone di Villanova, col cuore grande, generoso e direttamente proporzionale alla stazza imponente, aveva confermato nel modo più convincente, le rare stimmate emerse fra i dilettanti. Al secondo anno fra i professionisti, ed a soli 25 anni, Ercole possedeva un curriculum in grado di riempire i sogni di gloria di un corridore. C'era già praticamente tutto, mancava solo il Tour, ma l'osservatorio lo considerava solo un fatto di tempo.
Nel '59 Baldini passò all'Ignis di uno dei padri dello sport moderno: il Cavalier Borghi. Costui, lo ammirava profondamente e sognava sul ragazzone romagnolo. Ma un intervento chirurgico di appendicite, nei primi mesi dell'anno, impose al "Treno di Forlì" uno stop che, come per altri campioni, ebbe un peso determinante nel prosieguo di carriera. Forse cercò di ritornare prima del tempo, ed in questo senso la sua partecipazione al Giro del '59 fu un azzardo, ma sta di fatto che dopo l'operazione, a parte le prove a cronometro, solo in rare altre giornate fu possibile vedere il Baldini che tutti conoscevano. In quell'anno puntò tutto sul Tour, dove vinse il tappone di Aosta e ad un certo punto apparve davvero in procinto di conquistare la corsa, ma nella cronoscalata al Puy de Dome andò in crisi e si giocò le possibilità di vincere una Grande Boucle che appariva alla sua portata. Finì sesto, non senza rimpianti. Sul finire di stagione, colse importanti successi al Giro dell'Emilia, nel G.P. Faema e, per la terza volta, nel Trofeo Baracchi, ancora in coppia con Aldo Moser.
La sua fama di "Treno" si rinvigorì nel 1960 col successo nel Gran Premio delle Nazioni, per tanti anni una specie di campionato mondiale a cronometro, ma nel resto di stagione confermò un certo declino, aggravato da una rovinosa caduta al Giro, dove si fratturò un polso. Nel 1961 si impose nella Milano Mantova, nel circuito di Ravenna e per la quarta volta nel Trofeo Baracchi stavolta in coppia col francese Velly. Nel 1962 ebbe giornate di buona regolarità nei grandi Giri, perlomeno tali da riportarlo fra i primi, in particolare pagò la sospensione per neve della tappa sul Rolle al Giro, quando era in forte rimonta. Nel resto di stagione, a parte il suo ritorno al successo nella "gara di questo libro" (il Trofeo Tendicollo Universal n.d.m), colse la vittoria nel circuito di Ponte Piave. Nel 1963 cambiò squadra, ed approdò alla Cynar, ritornando con una certa prepotenza al successo. Oltre al Tendicollo, vinse la Coppa Placci, il Giro della Provincia di Reggio Calabria, il Trofeo Cougnet e il Circuito di San Costanzo.
Nel 1964, Ercole Baldini chiuse la carriera in maglia Salvarani, giungendo secondo al Baracchi, in coppia con Vittorio Adorni.
Che dire di questo campione? Non sarà diventato un nuovo Coppi, è stato semplicemente Baldini, uno che ha lasciato nel ciclismo una traccia breve, ma così intensa, che ripercorrerla nelle sue essenze, fa venire i brividi.
Lasciata l'attività agonistica, è passato a quella dirigenziale, divenendo direttore sportivo dell'Ignis, della Bianchi, della Kelvinator, della Scic e poi Presidente dell'Associazione corridori. Successivamente, Presidente della Lega, quindi membro della Commissione Tecnica dell'Uci.

Le sue prestazioni al G.P. Tendicollo Universal.
Una gara nata e concepita dalla Forti e Liberi per lui. Quando Ercole disse ai dirigenti biancorossi, che "Monsieur Chrono" Jacques Anquetil, lui poteva batterlo, diceva una verità. Bastava proporre un percorso lineare, ove potesse liberare la sua potenza e la sua incredibile aerodinamicità sulla bicicletta. Già, perché Ercole Baldini, che non è mai stato un magrolino, possedeva una flessibilità della schiena incredibile e tale da formare una posizione ideale per bucare l'aria. E così, quando il Gran Premio Tendicollo Universal dalle intenzioni divenne palcoscenico, al Treno di Forlì spettò il compito di regolarne gli epigoni, destinandovi quelle facoltà che si erano già viste fulgide e che lo avevano eletto fenomeno. Non deluse la sua città e le centinaia di migliaia di sportivi che si assieparono su ogni rivolo del circuito e che vedevano la corsa forlivese come un evento storico, tutt'oggi, mi si permetta, ineguagliato in Romagna, manifestazioni calcistiche comprese. Era lui il ragazzone di Villanova, l'osservato speciale, il vanto, il treno, colui che poteva battere il biondo normanno Jacques Anquetil, tanto anticonvenzionale, quanto grandioso.
Nel 1958, una foto aerea avrebbe evidenziato una migrazione biblica, ed un entusiasmo che non si viveva da quando, finalmente, la Romagna si era liberata dal fascismo e dalla guerra. A colpi di pedalate, di sofferenza e di cuore, un cast eccellente per titoli e forze reali si sfidò. Ercole fu davvero come l'eroe greco, vinse dominando, lasciando il passo di grandissima qualità dello svizzero Graf e del mitico signore delle cronometro Anquetil, rispettivamente a altre quattro minuti e quasi cinque. Sublime! Nessun debutto di gara poteva essere migliore. L'anno seguente, pur con quella operazione d'appendicite che tanto peserà sulla carriera di Ercole, ancora un successo, stavolta direttamente su Anquetil, quindi il prodigio di giornata Bono, il talentuosissimo Riviere, ed il Campionissimo Coppi. La presenza del mito di tutti gli italiani, riuscì a portare ancor più pubblico sul circuito: una muraglia umana gridò dalle campagne e dalla periferia forlivese, la popolarità primaria del ciclismo nel cuore della gente. Nel 1960, il Treno di Forlì, dopo la caduta al Giro che gli aveva rovinato un polso, s'esibì ugualmente, per la sua terra e per onorare l'ennesima sfida con l'amico-nemico Jacques. Stavolta, fu proprio il francese a vincere, dopo un duello sul filo dei secondi che provocò continui boati del pubblico. Sull'arrivo di San Tomè, dopo quasi novanta chilometri, i due furono divisi da soli 14". Nel 1961, il GP Tendicollo Universal, si svolse prima del Giro d'Italia, ed un Baldini non in forma nulla poté contro Anquetil, apparso quel giorno in perfetta sincronia con la sua fama di "Monsieur Chrono". Ercole faticò non poco per guadagnarsi il secondo posto, ed alla fine, un solo secondo lo separò dall'amico bertinorese Arnaldo "Gabanin" Pambianco, ma costui stava acquisendo la forma che, poche settimane dopo, lo porterà a vincere il Giro d'Italia del Centenario e ad ergersi ad altro vanto ed orgoglio della Romagna del pedale. La quinta edizione della corsa, il 17 giugno 1962, riportò il Treno di Forlì sul piedistallo a lui più congeniale e la solita strabocchevole marea di folla, salutò il suo terzo successo ai danni di Anquetil. Pur in una giornata dalle condizioni ambientali non proprio ideali, Ercole corse quegli 87 chilometri circa, a più di 46 kmh. Roba da fenomeni! Dopo cinque edizioni, il punteggio fra il Treno di Forlì e Monsieur Chrono, era di 3 a 2, ed il 13 giugno '63, per la sesta sinfonia di grande ciclismo che poteva riportare in parità i due, Baldini, con la fiammante maglia Cynar, fu autore di una performance incredibile. Già, perché con l'asfalto caldissimo e sciolto in più punti, col brecciolino che si appiccicava ai tubolari, fu capace di correre ugualmente a 45 chilometri e mezzo di media, lasciando il grande Anquetil, a 2'27". Risultato: 4 a 2 per il forlivese.
Il romanzo del Tendicollo, per il ritiro del forlivese, terminò lì, lasciando in tutti una profonda ed insanabile nostalgia. In sei edizioni, quella corsa, aveva raccolto oltre ottocentomila spettatori paganti. Qualcosa di ineguagliato, in Romagna e non solo.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy