Angelo Venzi

Nato a Civitella di Romagna l'8 settembre1926, deceduto a Forlì il 26 luglio 2012. Passista veloce. Professionista dal 1952 al 1953 con due vittorie. Di corporatura massiccia, di lì il nomignolo "Angiulon", Venzi, è stato uno dei più evidenti corridori regionali, professionisti compresi, fra il 1949 e il 1953. Ad elevarlo, un grande sprint e una particolare attitudine, nonostante la mole, per le corse lunghe e dure. Un atleta che avrebbe potuto eccellere anche in altri sport: nell'atletica e nel salto in lungo, in particolare. Fibre bianche eccellenti, insomma. Fibre che la vita dei tempi e la sua personale acculturazione han saputo trasformare in rosse, intense come poche. Tutto il suo tratto d'esistenza s'è mosso per e con la bicicletta, come un bisogno ancestrale di protezione, di testimonianza e di linguaggio. L'uso che ne ha fatto fino alla fine dei suoi giorni, altri non era che una carezza verso se stesso, ignaro di essere un esempio, un'alternativa e di tracciare un solco tanto silenzioso quanto di sostanza. Originale, testardo ma buono e generoso, tanto da giovane, quanto da ultraottantenne. Un personaggio, forse troppo dimenticato nella sua terra, anche se formidabile espressone e stereotipo di romagnolo. Ed è paradossale, visto il legame quotidiano di Angiulon con la bicicletta, che l'abbia usata agonisticamente solo un lustro. Tra l'altro iniziando tardissimo e in un modo da definirsi perlomeno insolito. Già, perché furono gli amici ed i coetanei, a servizio di leva già terminato per i più, a spingerlo verso l'agonismo in quanto stanchi di vederlo tanto superiore a loro nelle corsette a scommessa o per mero passatempo. Fra di loro c'era addirittura chi era convinto fosse subito in grado di eccellere fra i migliori dilettanti. E l'occasione di verificare quanto valesse il Venzi che era divenuto un oggetto di dibattito ricorrente in San Martino in Strada (località ove "Angiulon" ha vissuto praticamente tutta la vita), giunse nel febbraio 1949, quando entrò a far parte della Società Ciclistica Sammartinese. Il Venzi, a 22 anni e mezzo, alla prima corsa di gran valore del calendario, staccò tutti e giunse solo al traguardo. Fu un successo clamoroso, ed Angiulon, pur da neofita, acquisì praticamente da subito, il patentino di dilettante scelto. Con la Sammartinese rimase fino a tutto il 1951, vincendo tante corse e divenendo un faro del movimento ciclistico dell'intera Emilia Romagna. Fra i suoi successi di quel lasso, i Gran Premi di Macerata ('50), di Sesto Imolese ('50), la Coppa Martiri Libertà ('51), la Coppa Chiarini ('50) e la celeberrima Milano-Bologna ('51), dove superò Gianni Ghidini che, poche settimane dopo, conquistò a Varese il Titolo Mondiale. Abbastanza per fare di Angelo Venzi, in sole tre stagioni, un portacolori di valore storico nel glorioso segmento ciclistico della Sammartinese. Nel '52, acquisì lo status di indipendente che gli consentiva di correre in ogni occasione coi professionisti, aspetto non possibile prima pur essendo dilettante scelto. Debuttò tra i prof nella Milano-Torino, risultando tra gli animatori della gara. Poco dopo, colse una gran bella vittoria nel Gran Premio Trasimeno a Castiglion del Lago, valevole come 2a prova del Trofeo U.V.I, superando allo sprint nomi popolari come Isotti, Drei, Bartolozzi e Zampieri. Successivamente chiuse 2° il Giro delle Due Province a Barletta. Con la Girardengo-Clement, partecipò poi al Giro d'Italia, terminandolo 88°. Nella seconda parte di stagione, colse un altro piazzamento di peso nella Coppa Gennari, fu poi 4° nella Classifica Finale del Trofeo UVI, 8° nel Giro di Campania e 10° nella Coppa Tagliabue. L'anno seguente, l'ultimo di carriera, vinse la Coppa Arcangeli a Forlì, quell'anno aperta agli indipendenti, fu poi 2° nella Coppa Notari, 4° nella Coppa Pico. Non partecipò al Giro d'Italia, un po' perché Girardengo non partecipò come squadra, ed un po' perché si sentiva di moderare l'attività agonistica, preferendole il lavoro di allevatore di tacchini. Lavoro che lo spinse a fine anno ad abbandonare l'avventura nel grande ciclismo e nelle competizioni, lasciando la bicicletta al ruolo di sua compagna ed assistente di vita, in specie per raggiungere il podere dove ad aspettarlo c'erano quei tacchini che sono stati tanta parte della sua vita. Ma andava sempre forte con lo strumento spinto a motore umano. Lo sapevano bene quei ciclisti dilettanti che, per strada, lo incontravano con la sua inseparabile, tutto avvolto da pesanti sporte.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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