Storia di Giancarlo Astrua

Venne alla luce con il ciclismo nel sangue; a cinque anni gli chiedevano cosa volesse fare da grande e lui rispondeva, più convinto che mai: il ciclista. Suo padre, corridore pure lui, lo portava a vedere le Sei Giorni e tutte le corse di allora. Il suo idolo non era Bartali ma Valetti; il destino di ciclista era segnato, da Graglia a Biella, otto chilometri di strada sterrata e tutta a saliscendi, si sfidava con i compagni mentre andava a scuola.
Dopo aver vinto tre gare negli allievi, anno 1946, si trasferì a Torino in via Pastrengo. Si svegliava alle sei, colazione con due uova poi di corsa in officina meccanica. Faceva il tornitore ed aveva il tempo di allenarsi. Per evitare di rimanere in piedi tutto il giorno si era costruito uno sgabello.
Debuttò nei professionisti nel 1948 alla Milano-Torino, poi, al Giro di Campania, vinto da Luciano Maggini, si fece conoscere, arrivando quarto.
Poi partecipò al Giro d'Italia; era il più giovane in assoluto, nella Parma-Viareggio, oltre 250 chilometri, attraversando la via Emilia, e precisamente un tratto coperto da cubetti di porfido, improvvisamente finì contro una di quelle pietre. La ruota anteriore si piegò, batte la testa e grondava sangue da tutte la parti. Si rialzò, sostituì la ruota e riprese il gruppo. Durante la notte la testa sembrava che gli scoppiasse, ma continuò il Giro. Altre tre tappe lo aspettavano; roba da trecento chilometri e passa per ciascuna.
Nella tappa Bari-Napoli un tifoso gli tirò addosso un secchio d'acqua, provocandogli dolori lancinanti all'addome e forte dissenteria. Da Napoli a Foggia in condizioni pietose. La sera stessa lo visitò un oculista, il quale disse che rischiava di perdere l'occhio sinistro. Stremato ed annichilito fece le valigie e tornò a casa. Grazie alla cure del professor Mathis ed alla sua grande forza di volontà cominciò a rivederci.
L'anno successivo (1949) fu proprio durante il Giro d'Italia che mise il naso alla finestra, dopo aver perso tre minuti, vittima di una foratura, sul finale della Bassano-Bolzano. Si rifece il giorno successivo; Fazio, maglia bianca, lo scherniva alla partenza da Bolzano, perchè montavo un 46x22. Gli diceva che sul Pordoi, con quel rapporto, sarebbe stato costretto a fermarsi. Invece successe che Coppi prese il largo, mentre lui rimase con Carrea e Fornara. In discesa raggiunsi Bartali e vinse un pacco di vestiti per il miglior tempo impiegato nel tratto di salita. Arrivò quarto e tolse la maglia bianca a Fazio.
Ha vinto in tutto tre tappe al Giro d'Italia (1950, 1951, 1955), indossando la maglia rosa, e una tappa alla Vuelta del 1956. Nel suo palmares figuarano il Trofeo Baracchi del 1952 in coppia con Defilippis, il Giro di Romagna del 1953 e il G.P. Belmonte Piceno del 1954. Proprio in Romagna nel '53 ebbe il suo grande giorno di gloria, anche se a suo dire non fu una vittoria molto meritata. A San Marino passò in testa al gruppo. Lungo la discesa si precipitò con Casola all'inseguimento dei fuggitivi. Sul Trebbio li raggiunsero; poi la crisi, perse le ruote dei primi almeno dieci volte. Si sentiva vuoto, da Russi a Lugo si scatenò un temporale. La doccia fredda lo ridestò, lanciò la volata e nessuno riuscì a rimontarlo.
La sua più grande soddisfazione, però, rimane il terzo posto nella classifica finale al Tour de France del 1953, dietro a Bobet e Mallejac. Binda puntava tutto su Bartali e Magni, ma lui subito dimostrò di andare fortissimo. Nella tappa pirenaica Robic lo batte per una gomma; poi nella Albi-Beziers fece l'impresa, conquistando il secondo posto in classifica mentre Mallejac indossò la maglia gialla.
Un terzo posto lo ottenne anche al Giro di Svizzera del 1954. La sua regolarità è stata la sua arma migliore: è stato, infatti, anche un buon cronomen.
Lascia la scena agonistica nel 1958, all'età di trentuno anni, per dedicarsi alla famiglia.
L'ultima corsa vera e propria fu il Giro dell'Appennino del 1958. Ai piedi del Passo dei Giovi transitò con i primi. Poi cadde e rimase attardato; vinse Cleto Maule. La settimana successiva prese il via al Giro del Veneto, ma si ritirò.
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