Matteo Moser - Il nipote di Moser: "Lascio il ciclismo per non doparmi"

Botta e risposta in famiglia. L' ex campione replica a Matteo: "Per vincere bisogna essere forti" Il nipote di Moser: "Lascio il ciclismo per non doparmi" Per Francesco Moser il 2000 non è un anno fortunato. Un paio di mesi fa, con un provvedimento assolutamente discutibile, l'Uci ha deciso di "cancellare" tutti i record dell' ora, riconoscendo valido solo quello stabilito da Eddy Merckx a Città di Messico ' 72 (e migliorato di dieci metri venerdì scorso da Chris Boardman). Un vero affronto per il trentino che, dal 1984 al 1988, era diventato "il signore di tutte le ore" grazie ai record stabiliti a Città di Messico, Vigorelli, e Stoccarda e i tentativi di Vienna e Mosca. Da qualche tempo Francesco Moser, che il 19 giugno compirà cinquant' anni, ha raccolto l' invito di consiglieri, presidenti regionali e provinciali a candidarsi per l' elezione di presidente della Federciclo, visto il bilancio assolutamente fallimentare dell'attuale gestione che fa a capo a Giancarlo Ceruti. Lo "sceriffo" si è mosso in punta di piedi, ha messo mano a un programma di rinnovamento che tocca tutti gli aspetti del mondo delle due ruote (dalla pista al mountain bike), ha anche idee precise su come combattere la piaga del doping (massima severità con giovanissimi e dilettanti per stroncare il problema alla base). Ma ecco che sul punto di scendere ufficialmente in campo, il mai domo Moserone si trova coinvolto nell' inchiesta di Soprani che riguarda il professor Conconi, con cui ha sempre mantenuto ottimi rapporti, anche se l' ultimo contatto "sportivo" risale al '94, al tentativo di record messicano dieci anni dopo quelli fantastici dell' 84. Ma un altro siluro gli giunge dai suoi parenti più stretti. Matteo Moser, suo nipote, figlio di Diego, avviato alla bici per ragioni di famiglia, un paio di mesi fa ha deciso di smettere dopo essere arrivato alla categoria dilettanti Under 23. Non era dotato di particolare talento, Matteo, però travolto anche lui dal clima di sospetti che si addensa sul ciclismo, ha pensato bene di dire la sua: "Pedalando in mezzo al gruppo - ha dichiarato ai quotidiani locali, Adige e Alto Adige - e ascoltando colloqui dei corridori ho capito che chi non si aiuta con prodotti vari, difficilmente riuscirà a emergere. Mi sono accorto che troppa gente volava mentre io ho gareggiato in una società seria dove la parola doping non era nemmeno pronunciabile. Ho capito allora che non valeva la pena correre rischi per la salute per avere in cambio qualche vittoria. Così preferisco fermarmi. Non si può andare avanti così: in questo ciclismo conta soltanto vincere, altrimenti le società ti mandano a casa". Zio Francesco, che era a Manchester per seguire i mondiali della pista, non ha molto gradito l' uscita del nipote. E ha chiarito: "Per vincere bisogna essere forti e io vincevo tra i dilettanti senza prendere niente".

Gianfranco Josti

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(30 ottobre 2000) - Corriere della Sera
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