Vladislav Bobrik

Lo ricordavo pistard discreto nell'inseguimento, anche se un po' screziato nella pedalata. Lo vidi da vicino in una gara a coppie assieme al suo gemello Berzin e ricavai la convinzione che fosse solo un discreto corridore. Invece, per i miracoli del ciclismo anni novanta, lo ritrovai nel 1994, nel ruolo di corridore emergente, grazie ad una primavera di evidenza persino nelle classiche, indi vincitore di una tappa alla Vuelta d'Aragona e di una del Trofeo dello Scalatore. In autunno, il successo, tra l'altro ampiamente meritato, nel Giro di Lombardia. Mi ero sbagliato? No, erano solo le meraviglie del luogo e dell'epopea in cui stava correndo. L'anno seguente, un paio di vittorie minori ed un progressivo ritorno ai contenuti di Cenerentola. Provò a gridare vincendo la Cronoscalata della Futa nel 1997, ma fu un'eccezione. Corse fino al 1999, ma sempre con connotati grigi. Che dire? Per non andare oltre: uno dei vincitori più modesti della storia, della Classica delle foglie morte.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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