Paris-Tours 1965: la trovata di Felix Levitan e la grande vittoria di Gerben Karstens

Come tutti gli immensi, Felix Levitan, ha lasciato nella sua storia una pagina stonata. Quando a monte però, c'è un grande personaggio, è facile che la stonatura faccia storia e, sovente, sia pure prodiga di tangibili risultanze. A metà degli anni sessanta la Parigi Tours, s'era consolidata come classica dove lo sprint finale a ranghi pressoché compatti, era divenuto una costante.
Il vento e le poche asperità, non riuscivano a fare nessun tipo di selezione e quei "volatoni" avevano spinto Levitan a cercare un rimedio. Non potendo modificare il percorso con l'inserimento di qualche salita perché non c'erano i presupposti, pensò ad una svolta che non ha pari nell'era moderna del pedale: tornare all'antico. In fondo, la "Classica dei Castelli della Loira" (come il sottoscritto l'ha definita), la cui prima edizione s'era svolta nel 1896, al pari della "Roubaix", fra le classiche, aveva solo la Liegi Bastogne Liegi come più anziana, ed era un patrimonio che ben si collimava con quel sapore eroico che Felix voleva in qualche modo riproporre. Guardando i mezzi a disposizione dei corridori che, proprio in quei mesi, iniziavano ad arricchirsi di ruote libere portanti il "rivoluzionario "13" e confrontandoli con quelli di cui, da ragazzino aspirante ciclista, vedeva e provava nell'intorno del Velodromo dell'Hiver a due passi dalla casa in cui nacque, pensò che forse, prima ancora delle asperità, proprio la rivoluzione avvenuta sulla bicicletta, fosse la causa principale di quei continui arrivi in volata. Di lì, la folgorazione: proporre l'edizione 1965 della Parigi Tour, obbligando l'uso di biciclette prive di deragliatore. In sostanza, mezzi con due moltipliche e due sole ruote libere sul posteriore, usabili dal corridore, attraverso la fermata e la conseguente operazione, a mano, dello spostamento della catena sul rapporto fino a quel momento non usato. Si trattava di far tornare indietro il ciclismo di quasi mezzo secolo, pur considerando la doppia moltiplica! L'unica alternativa, per non sporcarsi le mani, poteva essere il cambio di bicicletta, ma a costi di tempo forse superiori...
Volendo fare un confronto con altri sport, i corridori erano costretti a fermate sul tipo del cambio gomme o del rabbocco di benzina, tipiche nella Formula Uno.
Ovviamente, tutto questo imponeva ai ciclisti delle azzeccate scelte dei rapporti a monte. Per fare qualche esempio: Jacques Anquetil montò, per le fasi iniziali, il 52x16 e per il finale il 49x13, Tom Simpson il 52x16 e il 52x14, Raymond Poulidor il 51x17 e il 51x15; Gerben Karstens (colui che poi vincerà), optò invece per il 53x16 e il 53x15, che andò ad azionare a 25 km dal traguardo.
La corsa, nonostante la trovata, si consumò a passo speditissimo, movimentata dalla fuga, poi vana, di un drappello con Lucien Aimar, Henri Anglade, Tom Simpson e Willy Monty.
A cinque chilometri dall'arrivo, il ventitreenne tulipano figlio di un notaio, Gerben Karstens, olimpionico a Tokyo nella 100 km a squadre e al primo anno fra i professionisti, nel bel mezzo di uno sciame di scaramucce atte ad evitare il volatone, sciorinò una fucilata che resterà uno dei più bei gesti tecnici degli anni sessanta.
Il gruppo non rimase sul posto, ed inseguì con ardore, ma a tre chilometri dal traguardo, Jacques Anquetil, capì che il giovane olandese non sarebbe stato ripreso e tentò la sua carta, producendosi in un allungo degno di Monsieur Chrono. Ad un centinaio di metri dall'ultimo chilometro però, quando l'olandese aveva ancora sui sei-sette secondi di vantaggio e pareva imprendibile anche per lui, lo sforzo giocò un brutto scherzo a Jacquot, che sbagliò completamente una delle ultime curve, facendosi riassorbire dal grosso. Gerben Karstens vinse a braccia alzate, anticipando di 8" il gruppo regolato da Gustav Desmet, dopo aver percorso i 247 km della prova, alla media di 45.029 km/h, nuovo record della Parigi Tours. Un primato che restò tale per altri 27 anni!
Levitan, capì che anche senza l'uso del deragliatore, la Tours, rimaneva una corsa per velocisti o finisseur e l'esperienza insolita finì lì.

Maurizio Ricci - Morris
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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