Glauco "Parulè" Servadei

A 38 anni dalla sua prematura morte, Glauco Servadei continua a restare ben impresso nelle memorie dei forlivesi e di chi ama il ciclismo in particolare. Sicuramente, nel mantenere alta la popolarità di questo campione, ha giocato il fatto dell'intitolazione a suo nome di un impianto come il Velodromo di Forlì, nonché il ricordo, ben esteso, di chi, con qualche anno in più, ha potuto conoscerlo nel luogo ove, finita la carriera, s'era impegnato con uguale maestria nella meccanica delle biciclette. Ciò non spiega tutto però, perché di Glauco resta un alone ben vivo, direttamente collegato a ciò che ha fatto da corridore. Un'eco che si poggia su un periodo della nostra storia, dove lo sport era una delle poche occasioni per parlare ed uscire da un trend quotidiano vissuto sulle fauci di una dittatura. E lui, Servadei, fu il primo atleta olimpico di una disciplina, come il ciclismo che, al pari della ginnastica, era fortemente radicata nella sua città.
Nato a Forlì il 28 luglio del 1913, Glauco si segnalò giovanissimo come un autentico cacciatore di traguardi. La sua carriera fin dalla categoria allievi, che allora era l'unica a precedere quella dei dilettanti, fu costellata di successi di gran pregio che fecero divenire questo ragazzino figlio di un imbianchino, un immediato punto di riferimento per tutto il movimento ciclistico romagnolo. E come da buona tradizione della nostra terra, arrivò subito il sopranome che, nel caso di Glauco, riprese interamente quello che la facile loquela aveva destinato al padre: "Parule". Dal 1930, l'anno del suo debutto, al 1936, Servadei, conquistò più di 60 vittorie. Soprattutto di pregio e di vasta eco, furono i suoi successi da dilettante, dove assieme all'inseparabile amico Giorgio Ceroni, all'interno del sodalizio bolognese "Velo Sport Reno", seminò risultanze e interessi pronti a cementare certezze, anche in chi doveva curare le formazioni olimpiche. Con l'amico Giorgio, "Parulè" fu tesserato "d'imperio" per l'A.S. Roma, ed i due, assieme a Toccaceli e Chiappini, vinsero nel 1935, la Coppa Italia, ovvero il campionato italiano dilettanti a squadre.
Parulé Servadei, atleta dal fisico longilineo, forte sul passo, bruciante nelle volate e discreto in salita, era dunque ormai lanciatissimo. Finì così in maglia azzurra, sia ai Mondiali che alle Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove per un secondo, perse la medaglia di bronzo a squadre. A fine stagione, in occasione del Giro di Lombardia, passò professionista. Già alla prima partecipazione al Giro d'Italia, fu subito gran protagonista, grazie a due successi di tappa, a Vittorio Veneto e a San Pellegrino, ed un buon quattordicesimo posto nella classifica finale. II 1938, segnò per il forlivese la gloria internazionale, in virtù di due stupende vittorie di tappa al Tour de France, a Bordeaux e a Laon. Parulè chiuse poi quel Tour al ventesimo posto. Nel 1939, già evidente del ciclismo italiano, Parulè, ottenne un raggiante successo di tappa al Giro nella sua Forlì, su quella pista del Polisportivo Morgagni, che l'aveva visto beffato da Bini due anni prima. Chiuse il Giro del '39 al tredicesimo posto. Nel 1940, sempre nella "corsa rosa" vinse tre tappe: la Roma-Napoli, la Treviso-Abbazia e la Ortisei-Trento, finendo ventiduesimo nella classifica finale. Due anni dopo, fece sua la Coppa Bernocchi e chiuse al nono posto il primo Giro d'Italia di guerra. Nella stagione successiva fece suo il G.P. di Roma, il Giro della Provincia di Milano a cronometro, in coppia con Fiorenzo Magni, la Milano Mantova e concluse al primo posto nella classifica del Giro d'Italia fin lì corso. Una vittoria che non è passata negli annali della storia per l'incompletezza di quell'avvenimento, ma che dimostrava i valori e la forza di questo grande figlio di Forlì. L'arrivo della seconda guerra mondiale frenò dunque "Parule" nel pieno della sua maturità d'atleta. Già divenuto nel 1942 compagno di colori di Fausto Coppi nella mitica Bianchi, alla ripresa delle corse, nel 1946, si dedicò, fino al ritiro avvenuto nel 1949, ad un prezioso contributo verso il campionissimo.
Anche da professionista Glauco Servadei si dimostrò corridore abbastanza completo, fortissimo in volata e forte nel passo, mostrò in salita quel punto un po' debole che gli precluse un palmares migliore. Ma lo spessore della sua carriera viene a noi anche da uno sguardo attento a quella miriade di piazzamenti di prestigio che lo fecero, per un lustro, corridore di gran rilevanza nazionale ed internazionale.
Di carattere buono e gentile e con la simpatia del romagnolo tipico, Parulè, ci ha lasciati prematuramente il 27 dicembre del 1968. Ma le sue imprese, come detto agli inizi di questo ritratto, rimangono a patrimonio di Forlì e di quel ciclismo che ha amato fino all'ultimo dei suoi giorni.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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