13 maggio 1909 - Giro d'Italia

Dopo la punzonatura svoltasi presso l'Albergo Loreto dalle 13 alle 18 del 12 maggio, ai corridori non rimaneva molto tempo per dormire, perché l'appuntamento di partenza era per le 2.30 del mattino del 13, giovedì.
Alle 2.53, i 128 partenti furono incolonnati fra le due ali di folla che si era riversata, oltre ogni previsione, su Corso Buenos Aires. Gli organizzatori furono messi alla prova perché lo start era tutto ben diverso dal previsto, e gli stessi ghisa milanesi, addetti all'ordine, ebbero il loro bel daffare. In un chiasso assordante, fatto di inni verso quegli idoli molti dei quali si stupivano di essere tali e dove non era facile distinguere il rombo dei motori delle auto al seguito, il Giro alle 3.00, partì. Prima del via, che vide l'italo inglese Gilbert Marley, il più famoso cronometrista dell'epoca nelle vesti di mossiere, il cavalier Carlo Cavanenghi, presidente della Unione Velocipedista Italiana, tenne un breve discorso.
La prima auto della carovana, imbandita come un piatto di bandiere rosse con fascia rosa, che fungeva praticamente da "apri corsa" fu la "Zust" del direttore de "La Gazzetta dello Sport, Camillo Costamagna. A lui sarebbe spettato il compito di scrivere i primi editoriali direttamente dal Giro, che, come aveva già annunciato in redazione, avrebbe firmato con lo pseudonimo di "Magno". Nella medesima Zust del direttore, si sedette l'avvocato Pilade Carozzi, vice presidente dell'UCI. La seconda auto, proprio una Bianchi, guidata dal gran capo delle già popolari biciclette celesti, l'ex grande pistard più volte tricolore ed iridato nel tandem, Gian Ferdinando Tomaselli, era dimora dei rappresentanti delle case ciclistiche in gara. Nella terza auto, l'ultima, prima delle avanscoperte del gruppo dei ciclisti, una Itala messa a disposizione dalla Pirelli, il direttore di corsa Armando Cougnet, ed i colleghi giornalisti al seguito della corsa.
Dopo appena un chilometro e mezzo dallo start di Piazzale Loreto, una caduta pressoché generale probabilmente dovuta all'oscurità che aveva reso troppo ritardata la visione di un paletto, provocò un primo doloroso sconquasso al Giro: da quel mucchio di biciclette e uomini a terra, l'unico che non riuscì a ripartire, più che per le conseguenze sul proprio corpo, per l'inutilizzabilità del mezzo, fu il "Diavolo Rosso" Giovanni Gerbi, l'italiano più accreditato e famoso, anche se da qualche mese in calo di prestazioni. Il piemontese disperato ha la fortuna di trovarsi non distante da un'officina della Bianchi e, dopo aver tirato giù dal letto un meccanico, anch'egli riuscì a ripartire, perdendo però tre ore e mezzo, quindi possibilità di classifica compromesse, tanto più col sistema scelto per la classifica del Giro, ovvero all'assegnazione di punti, da vedere come penalità, fra chi giungeva al traguardo. In sostanza, al primo, punto, al secondo due e al centesimo, cento. Ovviamente il vincitore finale avrebbe dovuto avere meno punti degli altri, ed un guaio nelle prime tappe, con più arrivati al traguardo, significava un accumulo di punti-penalità, via via meno facile da recuperare, proprio perché col passare delle tappe, per ritiri ed incidenti, di corridori ne sarebbero arrivati sempre meno. Gerbi lo sapeva bene, ma ripartì ugualmente con grande ardore, anche se profondamente ferito. A Bergamo, in coincidenza col sorgere del sole, al primo controllo che per molti significava anche rifornimento, erano in sei ad avere un leggero vantaggio sul grosso del gruppo e, proprio da lì, partì la prima raccolta di quelle notizie, che i giornalisti avrebbero a cadenza telegrafato alla sede della Gazzetta, dove, specifici incaricati, le avrebbero poi esposte sulle vetrine della Lancia-Lyon Peugeot, in Piazza Castello a Milano. Un'informazione che poteva poi allargarsi a tutto quel territorio ed a quei punti coperti da telefono, chiamando il numero 33.68.
Nei pressi di Peschiera, un altro sconquasso per il Giro. Lucien Mazan, detto e conosciuto da tutti come "Petit Breton", il favorito dei più alla vigilia, nell'intento di prodursi in una fuga sbagliò una curva, finendo dritto contro una ringhiera. Rimasto a terra privo di sensi per qualche minuto, al risveglio rimontò in sella e nonostante la spalla destra lussata e le condizioni comunque preoccupanti, riuscì dopo il dopo il passaggio sul ponte di barche del Po, a ritornare sul gruppo di testa, nel frattempo composto da poco più di venti unità. Nell'intorno dell'ultimo rifornimento di giornata, nei pressi di Cento, il Trousselier, amico di Petit Breton e vincitore del Tour 1905, tentò più volte di anticipare la prevedibile volata, ma ogni suo tentativo fu vano. L'arrivo di Bologna, alle ore 17 circa, posto all'interno dell'Ippodromo Zappoli, in un caos di pubblico incredibile e con la comprensibile agitazione che coinvolgeva la stessa giuria, vide dunque l'epilogo allo sprint di quella prima avventura, e il giovanissimo romano Dario Beni, lo fece suo con superiorità disarmante.
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